Non è tanto la maggioranza che scricchiola – e lo fa, parecchio -, non è tanto il ruolo da affidare a Licia Ronzulli all’interno dell’esecutivo a guida Giorgia Meloni. Non è nemmeno il fatto che la senatrice sia la consigliera numero uno di Silvio Berlusconi e detta la linea del partito, è proprio che Forza Italia è quasi alla deriva.
Schiacciata da tutto: dalle pretese, dal rapporto non troppo idilliaco tra i due leader, dal fatto che il Cavaliere sia praticamente con le spalle al muro. E certo non aiuta che qualcuno potrebbe passare da un gruppo parlamentare diverso per appoggiare il governo o, semplicemente, perché non si rispecchia più in una Forza Italia come mai si era vista prima.
Silvio Berlusconi è tornato, viva Silvio Berlusconi. Oppure no, perché l’ex presidente del Consiglio ha trovato (o forse ha fatto sì che trovasse) un clima completamente diverso, nelle aule del potere romano, da quello che aveva lasciato nel 2013 quando, complice la legge Severino e una condanna definitiva, è stato messo fuori dai giochi.
Innanzitutto perché non è più la sua creatura, Forza Italia, a trainare il centrodestra a vincere le elezioni – al massimo fa da fanalino di coda dietro gli altri, specie dietro una Fratelli d’Italia che il 25 settembre ha fatto da asso pigliatutto -, ma anche perché sono cambiati i rapporti all’interno di quella coalizione che lui prima capitanava.
Le due cose sono ovviamente collegate, ci mancherebbe: adesso è Giorgia Meloni a decidere, quantomeno mediare e avere l’ultima parola su chi debba o meno fare parte del governo che presiederà, come spartirsi scranni e ruoli tra Camera, Senato e ministeri, di peso e non.
I segnali dell’insofferenza tra i due leader, prima sussurrati e frutto di ricostruzioni da parte dei giornali, sono diventati palesi nel momento in cui la diciannovesima legislatura ha avuto inizio. Il dramma, com’è ben noto, si è compiuto a Palazzo Madama, per l’elezione di Ignazio La Russa a presidente.
Non solo perché il cofondatore di FdI non ha avuto l’appoggio dei forzisti, ma più probabilmente quello dei renziani e di qualche senatore del Partito democratico per riuscire a essere nominato alla prima votazione come la seconda carica dello Stato, ma anche perché dai banchi del Senato, quasi a favore di telecamera, il Cav ha mandato a quel paese l’ex missino e perché ha scritto in un foglietto una lista di aggettivi poco edificanti sulla premier in pectore.
Uno strappo dovuto soprattutto al veto di Meloni su Licia Ronzulli, la senatrice consigliera di Berlusconi che con la numero uno di Fratelli d’Italia non va proprio d’accordo, sì è un eufemismo. E il Cav è come se fosse diviso tra tenere la posizione o abbozzare, perché anche all’interno del suo partito le linee sono quelle.
Chi è della prima idea è, ovviamente, l’ex infermiera, dell’altra, invece, ci sono i Gianni Letta, gli Antonio Tajani – promesso sposo alla Farnesina – ma anche i parlamentari che voglio governare, uno su tutti il presidente della Lazio, Claudio Lotito, neoeletto proprio tra le fila di Forza Italia. Il rischio che si perdano pezzi, proprio in favore della futura inquilina di Palazzo Chigi, è altissimo, così come una sorta di condanna a morte per lo schieramento nato dalle ceneri della Prima Repubblica, che per trent’anni è stato il protagonista della vita politica di Roma, e non solo.
Tra l’altro, dato anche che Meloni è considerata “troppo di destra” – così pare abbia detto Berlusconi a Vittorio Sgarbi in una conversazione avvenuta durante la campagna elettorale -, non è tanto difficile credere che ci possa essere una transumanza verso il centro, e quindi verso quel terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi che già ha accolto dopo la caduta del governo di Mario Draghi, voluta pure dai forzisti e da Ronzulli in primis, le due ministre (quasi ex) Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.
Ecco, a proposito dell’esecutivo dell’ex presidente della Banca centrale europea, anche là l’ex sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri aveva consigliato al Cavaliere di non farlo, eppure così non è stato. E ora è quasi solo, probabilmente mal consigliato, sicuramente stretto in una morsa dalle sue donne, anche dalla sua compagna, Marta Fascina. Non dalla figlia Marina però, la più interessata alla vita politica di Berlusconi da sempre, che è dello stesso avviso di Letta e vorrebbe si ricucisse.
Per una volta, poi, anche Pier Silvio, amministratore delegato di Mediaset, è sceso in campo. Sollecitato dalla leader della coalizione, anche lui ha invitato il padre a fermarsi, e trattare. Come andrà, comunque, lo si saprà domani quando un nuovo vertice tra l’ex premier e chi si candida a diventarlo chiarirà quale sarà il futuro del governo.
Che, no, non è iniziato con i migliori auspici. Però bisogna fare presto, perché la squadra dovrà essere pronta almeno prima della fine della prossima settimana, non appena Draghi tornerà dal Consiglio europeo di Bruxelles in cui si gioca un’altra importante partita per l’Italia, quella contro la crisi energetica.
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