Era l’una del mattino in Honduras, le ore 7 in Italia, quando due uomini hanno fatto irruzione in una casa assassinando una donna con svariati colpi d’arma da fuoco. Ma non si trattava di una donna qualunque: è stata uccisa Berta Caceres, una delle persone che più di ogni altra in questi anni si è battuta nel Paese centro-americano a favore della tutela dell’ambiente e del diritto delle popolazioni indigene a vivere nella loro terra, schierandosi apertamente contro le multinazionali. Alla fine ce l’hanno fatta ad avere ragione di Berta, dopo anni di minacce ed intimidazioni: come il triste epilogo di Edwin Chota, lo sconforto in queste ore regna sovrano per chi si batte in nome dell’ecologia in America Latina, ma lo spirito indomito di Berta Caceres, e di altre persone che come lei hanno dedicato una vita intera a queste lotte, saprà vivere più forte di prima, come dimostra anche la vibrante protesta per le strade dei cittadini honduregni scesi a manifestare la loro rabbia per l’uccisione.
Seppure poco note in Italia, le storie di Berta, Edwin, di Eusebio, e tante altre vittime della violenza e della cupidigia di chi si vuole appropriare delle terre degli indigeni, sono la testimonianza più feroce della cruenta lotta ideologica che da decenni avviene in Amazzonia, in Honduras, e in tutte le altre nazioni del continente americano, tra la speculazione occidentale e la ferrea volontà degli autoctoni di resistere ai guasti della modernità. Una guerra di cui in Europa giungono solo echi lontani e distratti. Soltanto una barbara esecuzione poteva dunque zittire la voce di Berta Caceres, esponente di punta dell’etnia lenca, la più numerosa in Honduras, che per il suo attivismo aveva ottenuto nel 2015 il Premio Goldman, considerato il massimo riconoscimento internazionale per le lotte ecologiste: a farle vincere il premio fu la sua mobilitazione contro la diga Agua Zarca, uno sbarramento del fiume Gualcarque che avrebbe messo a rischio l’approvvigionamento di acqua ed alimenti per gli indigeni, impedendo ai lenca una gestione sostenibile del loro territorio.
‘Viviamo in un paese nel quale il 30 per cento del territorio è stato consegnato alle multinazionali dell’industria mineraria, dove sono stati lanciati progetti aberranti, in un’ottica neo-liberale secondo la quale l’energia non è più un diritto fondamentale per l’umanità‘, aveva dichiarato Berta durante la consegna del premio, puntando il dito ancora una volta sull’atavica questione delle terre rubate agli indios in una costante violazione dei loro diritti umani. In questo momento nelle Ong e le varie associazioni che si battono per tali diritti e per il rispetto dell’ambiente prevale un sentimento di profondo scoramento, come dimostra il commento di Erika Guevara-Rosas, responsabile per le Americhe di Amnesty International, secondo cui la morte di Berta ‘è una tragedia che si poteva prevedere da anni, perché vittima da anni di una campagna di minacce ed intimidazioni a causa della sua lotta ambientalista. La sua morte avrà un impatto devastante per le organizzazioni di difesa dei diritti umani‘. Un crimine annunciato, in cui dietro la mano che ha armato i responsabili diretti dell’esecuzione è facile intravedere ancora una volta l’egoismo senza scrupoli dell’Occidente.
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