Non c’è pace per le donne rapite da Boko Haram in Nigeria. Se e quando riescono a tornare a casa, vengono ripudiate, allontanate e ghettizzate. Secondo il rapporto di International Alert e Unicef, vengono bollate come “annoba”, epidemia. Sono donne “del contagio” e i loro figli, avuti dopo gli stupri subiti dagli jihadisti, sono “iene in mezzo ai cani” perché “il figlio di un serpente è un serpente”. Quando tornano a casa, con loro “arriva la peste”. Le donne diventano così due volte vittime, dei terroristi e della loro stessa gente.
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Il rapporto ha fatto il punto della situazione in una delle zone calde del mondo, il Nord della Nigeria, dove il gruppo terrorista Boko Haram continua a mietere vittime, lacerando un intero Paese nella quasi totale indifferenza del mondo.
Negli ultimi anni, circa duemila ragazze e donne sono state rapite dagli jihadisti; l’episodio più noto è avvenuto ad aprile 2014 quando circa 300 ragazze della scuola di Chibok vennero portate via. Allora la comunità internazionale si scandalizzò e lanciò la campagna “Bring back our girls”, con tanto di hastag virale e personalità di spicco a sostegno, compresa la Firs Lady Michelle Obama.
A distanza di un anno, parte di quelle ragazze sono state liberate. I traumi fisici e psicologici subiti durante la prigionia sono rimasti impressi e la loro stessa comunità ora le rinnega. La convinzione è che siano state indottrinate dai miliziani di Boko Haram perché costrette a convertirsi e a sposare i loro rapitori, “infettate” dalla loro violenza e per questo vengono bandite.
Non vengono accolte ma allontanate: su di loro pende il marchio di “spose di Boko Haram”, sono le “Donne di Sambisa”, la foresta-roccaforte degli jihadisti, sono la “peste”. I terroristi soffiano sul fuoco di queste credenze e hanno imparato a usare le donne, spesso giovanissime, come kamikaze. Nascondono le bombe sotto i loro lunghi abiti e hanno “il viso pulito”, con i capelli ben raccolti e la fronte visibile, come vuole il “manuale” di Boko Haram. Lo ha spiegato una ragazzina che ha rinunciato a farsi saltare per aria in un campo profughi perché temeva ci fosse il padre: due sue amiche, con i capelli ben raccolti, non l’hanno seguita e si sono immolate, lasciando una scia di cadaveri.
I loro figli, nati dalle violenze, sono “iene tra i cani”, perché hanno ereditato il “sangue di Boko Haram”. Il male, secondo le comunità nigeriane, si tramanda con il sangue, la discendenza diretta. “Quando ci penso provo angoscia e mi chiedo: ‘Si comporterà come uno di loro?”, ha spiegato una vittima agli intervistatori del rapporto parlando del figlio.
La violenza di Boko Haram ha distrutto un Paese e oggi sono 3 milioni i profughi nel Nordest: tra di loro ci sono vittime che non avranno mai pace. Quelle donne rapite e mai tornate alla vita di prima.
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