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Boko Haram, le strategie della Nigeria per combattere il terrorismo utili anche per l’Europa

La Nigeria prova a sconfiggere Boko Haram e lo fa con una doppia strategia. Da un lato continua l’offensiva armata delle forze militari, con risultati anche importanti, come la cattura del numero due del gruppo terroristico, Khalid al-Barnawi. Dall’altra si tenta la strada della pacificazione con il recupero degli jihadisti nell’ambito dell’operazione Operazione corridoi sicuri, lanciata ad aprile. Il paese africano potrebbe indicare all’Occidente come battere il terrorismo: gli analisti e gli esperti guardano alle promesse del presidente nigeriano Muhammadu Buhari e sperano che possano indicare una via d’uscita dalla spirale di violenza e morte, arrivata anche su suolo europeo. Cerchiamo di capire come.

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Riuscire a fermare il gruppo terroristico nigeriano sarebbe fondamentale per il paese, che conta vittime quasi ogni giorno. I metodi degli jihadisti sono tra i più crudeli e spietati. Boko Haram arriva a rapire donne di ogni età per trasformarle in attentatrici suicide: secondo Long War Journal, sito specializzato nello studio del terrorismo, dal giugno 2014 ha usato almeno 105 tra donne e bambini per compiere attacchi suicidi in Nigeria e nei paesi vicini. Gli obiettivi sono spesso scuole, mercati e chiese in modo da fare più morti possibili. In più, la rete di comando è ben protetta, anche a causa della carenza di informazioni. Come si può sconfiggere un nemico così violento e inafferabile?

Le vittime di Boko Haram e della guerra del terrore

Per prima cosa, bisogna conoscere il nemico e la realtà in cui opera. Pur se meno conosciuto e studiato, Boko Haram è il gruppo terroristico più spietato e feroce. Nato all’interno della complicata divisione tribale e religiosa del Paese, ha giurato fedeltà allo Stato Islamico e ha unito la battaglia nazionale a quella sovraterritoriale del presunto Califfato. Secondo il Global Terrorism Index 2015, la setta guidata da Abubakar Shekau ha causato dal 2009 più di 20mila vittime e 2,6 milioni di sfollati, numeri che la rendono più letale dell’Isis. Sul suo leader gli USA hanno messo una taglia da 7 milioni di dollari. L’esercito nigeriano è impegnato da anni in una lotta senza quartiere che, a sua volta, ha causato innumerevoli vittime.

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Nel rapporto del giugno 2015 “Stars on their shoulders, blood on their hands”, Amnesty International ha rivelato quante sono le vittime delle forze di sicurezza nigeriane: dal 2011, la guerra tra esercito e Boko Haram è costata almeno 17mila morti di cui di cui circa il 40% a seguito di arresti o rappresaglie delle forze armate. Circa 8mila prigionieri politici sono stati uccisi nelle carceri, sottoposti a metodi di interrogatorio violenti e brutali: l’esercito e la polizia è responsabile di oltre 1.200 esecuzioni extragiudiziali e sono più di 7mila decessi in cella a causa delle torture, la fame, il sovraffollamento e la mancanza di assistenza medica.

L’offensiva militare

La guerra al terrorismo in Nigeria si svolge da anni sul piano militare. L’esercito nigeriano ha intensificato le operazioni soprattutto nel nord del Paese, riprendendo il controllo di ampie zone, ma non è il solo a combattere. Fin dal 2015 l’Unione Africana ha approvato la realizzazione della Multi-National Joint Task Force (MNJTF) che vede coinvolti i paesi del bacino del Lago Ciad, zona principe delle operazioni di Boko Haram. Niger, Nigeria, Ciad, Camerun e Benin hanno unito (più o meno) le loro forze e sono riusciti a infliggere duri colpi al gruppo terroristico. La zona è però al centro di dispute territoriali tra Niger, Ciad e Nigeria e non sono mancate tensioni tra gli eserciti: dopo le prime vittorie, sono rimasti solo avamposti. In tutto questo, come ricorda Andrea de Georgio, giornalista per l’Ispi (l’Istituto per gli studi di politica internazionale), gli 8.700 uomini “promessi e sbandierati dagli incontri internazionali” dalle forze occidentali non si sono mai visti.

Gli arresti

Una delle vittorie più importanti a livello militare e politico è stato l’arresto di Khalid al-Barnawi, numero due di Boko Haram e leader del gruppo Ansaru (responsabile della morte di due italiani, Franco Lamolinara nel 2011 e Silvano Trevisan nel 2013), avvenuto il 3 aprile durante un raid dell’esercito nigeriano a Lokoja, nello stato di Kogi. L’operazione, definita dal portavoce della Difesa “frutto della cooperazione tra i diversi servizi di sicurezza”, è ritenuta fondamentale nella lotta al terrorismo, anche perché al-Barnawi starebbe collaborando. In un video precedente la cattura, il terrorista si era già dissociato dalle azioni di Boko Haram per le uccisioni di musulmani, peccato così grave da essere “solo secondo al peccato di accettare leggi diverse dalla Sharia”.

La rieducazione degli jihadisti

Il presidente Buhari al summit contro il terrorismo a NY

Il suo arresto è stato il colpo da maestro del presidente Buhari che, fin dalla sua rielezione del 2015, aveva promesso di smantellare Boko Haram. Come? Puntando sulla rieducazione degli jihadisti. In quest’ottica è stata lanciata l’Operazione corridoio sicuro: secondo i primi dati, già nei primi giorni di aprile avrebbero aderito 800 ex miliziani. Nel comunicato ufficiale del governo, si chiarisce che l’obiettivo è “aiutare i nigeriani che mostrano rimorso per le azioni commesse”. Così, i guerriglieri, fermati dall’esercito, vengono mandati in diversi centri dove ricevono supporto psicologico e sociale per il reinserimento nel paese, ma solo se dimostrano di essersi pentiti. Si riabilitano i nemici per riportare la pace attraverso attività di “de-radicalizzazione” e di formazione. Alcuni paesi africani hanno già tentato con successo questa strada: lo ha fatto il Sudafrica con la Commissione per la verità e la riconciliazione, guidata dal vescovo e premio Nobel per la Pace Desmond Tutu, e lo sta facendo il Ruanda con la Commissione di Riconciliazione e Unità nazionale.

La propaganda
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Nel piano ha un ruolo importante anche la propaganda. Il presidente Buhari ha sempre mostrato sicurezza e fermezza nella lotta contro Boko Haram tanto da definirlo “tecnicamente sconfitto”. Gli arresti eccellenti e il programma di recupero hanno aiutato molto ma la strada è ancora lunga. Esempio è il video di Abubakar Shekau, postato sul web dopo l’arresto di al-Barnawi. In sette minuti, il leader si dichiara stanco e sconfitto e chiede di accettare la tregua. Secondo alcuni esperti però si tratterebbe di un falso, frutto della campagna mediatica del governo per screditare il gruppo. A supporto, ci sarebbe un video girato da militanti che smentiscono la fine delle ostilità. Vere o meno, le immagini mirano ad abbattere l’immagine di intoccabile del leader terroristico. Il piano è articolato e complesso: solo il tempo dirà se sarà anche valido.

Lorena Cacace

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