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Breivik fa causa allo Stato per detenzione disumana: saluto nazista in Aula

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Braccio destro alzato per il saluto nazista. Così Anders Breivik è entrato nella palestra della prigione di Skien, a 100 km da Oslo, dove si sta tenendo il processo da lui intentato contro lo Stato. Il killer di Utoya, oggi 37 anni, che uccise 8 persone con una bomba nel centro di Oslo e altre 69 sull’isola poco fuori città, ha infatti citato in giudizio la Norvegia accusando le autorità di “detenzione disumana, al limite della tortura psicologica”. Condannato nel 2012 a 21 anni di carcere, con la possibilità di reiterare la permanenza se considerato pericoloso, Breivik ha portato in tribunale lo Stato perché le condizioni del carcere di Skien, dove è stato trasferito, lo starebbero “stressando”.


Breivik è stato condannato al massimo della pena prevista dall’ordinamento norvegese, da scontare in un’ala del carcere secondo gli standard di massima sicurezza previsti nel Paese. Lo scorso settembre aveva minacciato lo sciopero della fame per le “condizioni disumane” e aveva scritto una lunga lettera ai media locali. Tra i “soprusi” da lui elencati, il caffè della mensa servito freddo, una cella senza la vista, poco burro per il pane e il mancato accesso a internet, oltre all’uso di una penna di sicurezza morbida e flessibile che gli causerebbe crampi alla mano.

Nella lettera, scrisse di non poter esprimere le sue opinioni politiche e che non gli è permesso leggere tutte le lettere a lui indirizzate. Prima della condanna definitiva, gli fu concesso l’uso di un computer ma senza connessione internet: le autorità vollero bloccare sul nascere il tentativo di fare proselitismo e propaganda di stampo nazista usando il web.

Tutte queste lamentele sono sfociate nel nuovo processo intentato contro lo Stato, con l’accusa di aver violato due articoli della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, quello sul diritto alla vita privata e quello sul divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti. Inoltre, l’essere l’unico detenuto in regime di massima sicurezza, in un carcere a 100 km da Oslo, lo avrebbero stressato al punto di lasciare gli studi di Scienze Politiche.

La Procura ha rigettato le accuse e ha ricordato che le condizioni della detenzione vanno ben oltre quanto gli è stato concesso: è libero di muoversi nella sua cella, ogni giorno ha accesso a uno spazio per fare attività fisica, può guardare la tv e giocare ai videogames. Le restrizioni sulla posta sono state stabilite dal giudice per impedirgli di creare una “rete estremista” di stampo nazista.

Il processo si terrà a porte chiuse: le autorità, pur riconoscendogli tutti i diritti del caso, vogliono evitare che possa usare l’aula del carcere, ora trasformata in tribunale, come personale palcoscenico da cui continuare la sua propaganda. Per tutta risposta, appena arrivato in aula, Breivik si è esibito in un plateale saluto nazista.

La strage di Utoya

Il 22 luglio 2011, alle ore 15:25, un’autobomba esplode nel centro di Oslo, nel quartiere dove si trovano i palazzi del governo norvegese, proprio di fronte al palazzo che ospita gli uffici del Primo Ministro. Muoiono 8 persone e 209 rimangono ferite: in città è il caos. A piazzare la bomba è Anders Breivik.

Due ore dopo, il pluriomicida si reca sull’isola di Utoya, poco fuori città, a bordo di un gommone. Lì si sta svolgendo l’annuale festa estiva dei giovani del Partito Laburista, allora al governo. È vestito da poliziotto, dice di essere arrivato per mantenere la calma dopo la bomba di Oslo. In realtà ha un arsenale con sé. Appena sbarcato sull’isola comincia a sparare contro i ragazzi, uccidendone 69, quasi tutti da distanza ravvicinata, e ferendone 110, di cui 55 in maniera grave: 34 vittime hanno un’età compresa tra i 14 e i 17 anni. È una carneficina.

Ci vorrà un’ora e mezza perché l’unità anti-terrorismo riesca a sbarcare sull’isola, trovando Breivik con ancora le armi in pugno: si arrende senza opporre resistenza.

È lui stesso, nel corso del processo, a indicare il movente della strage: voleva “lanciare un messaggio al popolo”, contro il partito laburista, per fermare la rovina della cultura norvegese a causa “dell’islamizzazione” dovuta all’immigrazione dei musulmani.

Il 24 agosto del 2012 i giudici norvegesi stabiliscono che Breivik è sano di mente e lo condannano a 21 anni di carcere, il massimo della pena, da estendere di 5 anni alla volta se considerato pericoloso.

Lorena Cacace

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