Il referendum sulla Brexit potrebbe segnare un momento storico per gli inglesi e per tutti gli europei, italiani compresi, e avere conseguenze enormi per il Vecchio Continente. La scelta a cui sono stati chiamati gli inglesi potrebbe avere pesanti ricadute. Il Regno Unito, uno dei paesi fondatori nonché una delle più importanti e potenti economie a livello mondiali, lascia l’Unione Europea, scatenando reazioni di cui, al momento, si fatica a vedere i contorni. Se a livello economico tutte le istituzioni finanziarie e monetarie, guidate dalla Bce di Mario Draghi, si stanno preparando all’uscita della Gran Bretagna, le conseguenze a livello politico potrebbero essere devastanti. Cerchiamo di fare un quadro il più possibile preciso.
Il referendum è stato indetto da David Cameron, attuale premier inglese, in risposta all’avanzata dei partiti anti-UE alle ultime elezioni, con particolare riferimento all’UKIP di Nigel Farange. Anche il partito conservatore, di cui Cameron è massima espressione, ha spinto per il referendum. L’omicidio della deputata laburista Jo Cox ha scioccato il paese e i due schieramenti hanno cercato di portare il dibattito su toni meno accesi. Abbiamo analizzato cos’è e cosa significa il voto sulla Brexit e quali sono i rischi che tutti, compresi noi italiani, corriamo: di seguito un breve vademecum su cos’è e cosa può succedere adesso.
Cos’è il referendum sulla Brexit
Con il referendum sulla Brexit i cittadini del Regno Unito hanno votato sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea o sul loro addio all’UE. La domanda a cui gli elettori dovranno rispondere è diretta e chiara: “Il Regno Unito deve rimanere o lasciare l’Unione Europea?“.
Quando si è votato
Il voto per il referendum sulla Brexit si è tenuto il 23 giugno. Le urne sono state aperte in tutte le 382 circoscrizioni in cui è diviso il Regno Unito (326 in Inghilterra, 32 in Scozia, 22 in Galles, 1 in Irlanda del Nord e 1 a Gibilterra), dalle 7 del mattino fino alle 22. Si è potuto votare anche online e per posta.
Cosa succede il 24 giugno?
ll premier David Cameron ha annunciato le dimissioni per ottobre 2016. Ora verrà fatta valere la clausola dell’articolo 50 del trattato di Lisbona che indica le procedure per l’uscita dall’UE. Ci sono diversi però.
L’articolo 50 non indica tempistiche certe. La clausola specifica che il “meccanismo di recesso è volontario e unilaterale” e che “il paese che decide di recedere deve notificare tale intenzione al Consiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso di tale paese“. A seguire, “l’accordo è concluso a nome dell’Unione europea (UE) dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo“.
La procedura quindi prevede l’inoltro della richiesta da parte del Regno Unito, la discussione e l’accordo con i restanti 27 paesi, il voto dell’UE e solo alla fine l’uscita dai trattati di adesione, “a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o due anni dopo la notifica del recesso“. In linea teorica, Cameron (o chi per lui) potrebbe protrarre a tempo indeterminato l’inoltro della richiesta. A questo si aggiunge che “il Consiglio può decidere di prolungare il termine“. Vediamo con quali tempi.
Quando uscirà davvero il Regno Unito dall’UE?
Come detto, sulle tempistiche non ci sono certezze. Il Consiglio Europeo dovrà dare parere positivo alla richiesta del Regno Unito all’unanimità; a seguire, secondo le leggi europee, ci vorranno due anni per sciogliere tutti gli obblighi contrattuali che il paese aveva stretto stando in Europa. Solo allora potrà uscire ufficialmente. In caso di mancato accordo, si potrà avere una proroga di 10 anni. Secondo quanto stimato dal presidente Donald Tusk, ci dovrebbero volere non meno di 5 anni per raggiungere un accordo che vada bene a tutti i 27 paesi restanti e che sia poi ratificato dal Parlamento. Per il governo inglese, la stima sale di 10 anni, mentre il fronte del Leave spera di chiudere entro il 2019.
La Gran Bretagna non sarà più un paese europeo?
Sì. La Gran Bretagna non farà più parte dell’Unione Europea, con tutto quello che ne consegue. I cittadini britannici che oggi vivono in Europa non avranno più accesso ai diritti comunitari, la loro circolazione in UE sarebbe limitata come lo sarebbe per i cittadini europei che vivono in Inghilterra e che, nell’arco di 24 ore, diventeranno extra comunitari, senza più il diritto alla libera circolazione nei territori britannici.
Quali saranno i rapporti tra Regno Unito e UE?
Altro tasto dolente è il tipo di rapporto che il Regno Unito avrà con il resto dell’Unione Europea. Il mercato europeo è troppo grande, importante e ricco perché gli inglesi possano rinunciarvi e la vicinanza geopolitica e soprattutto economico-finanziaria porta a escludere che saranno rapporti da paese terzo (cioè del tutto fuori dall’economia UE). I più pensano che si troverà un nuovo assetto con due modelli di riferimento: quello norvegese e quello svizzero.
Nel primo caso, il Regno Unito farà parte dell’Area economica europea come già la Norvegia (e l’Islanda): si avrà un accordo di libera circolazione, il versamento dell’Iva e l’accesso a fondi comunitari per la ricerca ma senza partecipare all’approvazione delle direttive. Ciò significa che avranno comunque i limiti delle norme UE, verseranno dei contributi ma non potranno perdere parte ai processi decisionali. Il modello svizzero ricalca quello che già succede ora con la confederazione elvetica con cui si hanno degli accordi bilaterali senza far parte dell’Area economica europea, usufruendo di alcuni diritti della libera circolazione.
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