Amber Rudd
Schedare i lavoratori stranieri, iniziando dagli extracomunitari per arrivare ai cittadini UE in nome della politica “prima i nostri”. Di Brexit si ricomincia a parlare dopo mesi di silenzio e lo si fa sotto gli auspici peggiori dopo le dichiarazioni della ministra dell’Interno Amber Rudd che, dal palco del congresso annuale dei tories a Birmingham, ha proposto l’obbligo per le aziende di divulgare l’elenco dei lavoratori stranieri. Le sue parole hanno scatenato una polemica tale da far passare sotto silenzio l’intervento finale di Theresa May: il mondo delle aziende inglesi si è rivoltato contro la ministra che non ha fatto marcia indietro, nonostante le accuse di razzismo. Lo stesso mondo della City ha guardato con preoccupazione alle dichiarazioni della Ruud, a fianco di Boris Johnson al congresso, e non solo per le “liste di prescrizioni”. La ministra era una dei volti del Remain: se a pochi mesi dal voto, la Brexit ha preso questa piega, le trattative si preannunciano in salita. Per di più, le notizie che arrivano d’oltremanica fanno a pugni con la realtà europea: l’ultimo rapporto Migrantes conferma che i giovani italiani continuano a emigrare e lo fanno per lo più del Regno Unito.
L’idea di “svergognare” le aziende che assumono lavoratori stranieri, per citare la Ruud ha spaventato un po’ tutti. La ministra ha fatto una pseudo marcia indietro, specificando che si trattava solo di una proposta, ma il danno è stato fatto.
Tutto ha inizio con il suo intervento al Palacongressi di Birmingham. Seduta accanto al ministro degli Esteri, l’ex sindaco di Londra da cui, per citarla ancora, fino allo scorso giugno non si sarebbe neanche fatta accompagnare a casa la sera, la Ruud ha cambiato verso. Da volto del Remain si è così trasformata nella voce più dura del Leave.
“Ci sono troppi lavoratori stranieri in Gran Bretagna e anche troppi studenti stranieri“, ha attaccato . In entrambi i casi “vengo tolti posti, spazio e risorse ai cittadini britannici”, per cui è necessario dare un taglio all’immigrazione usando l’arma della Brexit, cioè mettendo fine alla libera circolazione anche dai paesi UE. L’obiettivo è dare priorità agli inglesi. Come? “Svergognando le aziende” che preferiscono assumere stranieri mettendo l’obbligo di pubblicare “liste” dei lavoratori per nazionalità, in modo da farle sentire “sbilanciate” nei confronti dell’opinione pubblica. Una sorta di gogna mediatica che spinga le società ad assumere prima i lavoratori inglesi sotto la pressione sociale.
L’onda d’urto delle sue parole è stata fortissima. Il Times le ha dedicato la prima pagina, costringendola a rispondere alle accuse di razzismo. “Non sono razzista ma non ho paura di parlare di immigrazione“, è stata la sua replica. Più che l’opinione pubblica o le accuse dei laburisti a spaventarla è stata la reazione delle Camere di Commercio e Industria e del mondo della City: la sola idea di perdere lavoratori stranieri, per lo più altamente qualificati, avrebbe un effetto devastante su tutta l’economia britannica.
“È provato che i migranti hanno portato benefici per l’economia visto che il Regno Unito ha una bassissima disoccupazione al (4,9%)“, le ha ricordato Adam Marshall, a capo della Camera di Commercio.
LA REAZIONE UE PASSA DA ANGELA MERKEL
Angela Merkel
La prima reazione di un certo peso alle parole della Ruud, tra l’altro non smentite dalla May, arriva da Angela Merkel. La cancelliera tedesca si era fatta pontiere tra chi in UE invocava la linea dura sulla Brexit e chi auspicava un passaggio più morbido. Il cambio di atteggiamento della premier inglese ha portato a una reazione anche in ambito europeo.
“Se non diciamo che il pieno accesso al mercato unico europeo è legato alla libertà di circolazione, allora scateniamo in tutta Europa un movimento in cui ognuno farà solo ciò che vorrà“, sono state le parole della Merkel. L’avvertimento è chiaro: giù le mani dalla libera circolazione delle persone o l’accesso al ricchissimo mercato UE per la Gran Bretagna sarà chiuso. Le trattative “non saranno facili“, ha ricordato la cancelliera in un incontro con gli imprenditori di Berlino. Il governo May deve garantire “il rispetto delle quattro libertà fondamentali, tra cui la libertà di circolazione delle persone” se vuole essere un partner privilegiato dell’UE.
LA REALTA’: GLI ITALIANI PREFERISCONO LONDRA
La realtà bussa le porte alla politica europea, britannica e italiana. Mentre una ministra inglese chiede liste di prescrizione per i lavoratori non britannici, l’ultimo rapporto Migrantes conferma l’aumento degli italiani che emigrano all’estero. I numeri parlano chiaro: 107.529 sono i connazionali espatriati nel 2015, con 6.232 iscritti in più all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) per un aumento del 6,2%.
Il rapporto “Italiani nel mondo 2016” fotografa un’Italia in fuga, dove i giovani cercano la loro strada all’estero. Ad andarsene nel 2015 sono stati uomini e donne tra i 18 e i 34 anni (39.410, il 36,7%), con la Germania (16.568) come meta preferita, seguita dal Regno Unito (16.503), Svizzera (11.441) e la Francia (10.728). Il referendum svizzero ha chiuso la porta in faccia ai frontalieri, ora la Brexit: per gli italiani e tutti gli europei sentirsi a casa in Europa sarà sempre più difficile.
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