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Categories: Cronaca

Bruno Caccia, dopo 32 anni arrestato uno dei killer del Procuratore capo di Torino

Dopo 32 anni, uno dei presunti assassini di Bruno Caccia, il procuratore capo di Torino ucciso nel 1983, è stato fermato. Rocco Schirripa, torinese di 62 anni di origine calabrese, è stato arrestato al termine di un’inchiesta congiunta e coordinata dai pm milanesi Ilda Boccassini e Marcello Tatangelo: l’accusa è di aver dato il colpo di grazia al magistrato, freddato con 14 colpi di pistola mentre portava a passeggio il cane. Dopo tre decenni, le indagini potrebbero far luce su uno degli omicidi più brutali avvenuti durante gli Anni di Piombo a opera della malavita calabrese che volle eliminare Caccia perché ritenuto troppo pericoloso.

Schirripa, panettiere alla periferia di Torino, nel popolare quartiere Parella, sarebbe stato un membro del commando di cinque uomini che la sera del 26 giugno 1983 uccisero Caccia. Secondo gli inquirenti, sarebbe stato lui a dare il colpo di grazia al magistrato. Per l’omicidio del Procuratore Capo, è già stato condannato all’ergastolo il mandante, Domenico Belfiore, boss della ‘ndrangheta in Piemonte. Mancavano i nomi delle mani assassine, di coloro che fecero fuoco contro l’uomo di Stato agli ordini del capo clan. Ora, dopo oltre trent’anni, si è arrivati al nome di Schirripa. Gli inquirenti parlano di una grande mole di prove a suo carico: per arrivare a lui, è stato necessario tessere una complessa trama e bucare il muro di omertà che ha sempre protetto gli assassini del magistrato.

Le indagini

Il presunto killer lascia la Questura di Torino

Tutto è cominciato lo scorso 15 giugno quando Belfiore viene messo ai domiciliari per gravissimi motivi di salute. A quel punto, la Questura di Milano, accelera i tempi: vuole arrivare ai nomi dei killer e invia alla cerchia di conoscenti del boss una serie di lettere anonime. Nella busta c’è la fotocopia dell’articolo uscito su La Stampa per la morte di Caccia e dietro, scritto a mano, il nome di Rocco Schirripa. I magistrati sanno che il panettiere è un uomo della ‘ndrina, ma non hanno mai avuto prove sufficienti a suo carico. Le lettere ottengono l’effetto voluto: Belfiore e i suoi uomini iniziano a chiedersi chi sappia di Schirripa. Non sanno di essere intercettati, non lo immagine neanche lo stesso panettiere che ne parla con il cognato del boss, Placido Barresi, e inizia a progettare la fuga. A quel punto scatta l’arresto: uno dei killer di Caccia viene finalmente fermato.

Chi era Bruno Caccia
Un nitido esempio di dedizione allo stato, un uomo con la giustizia nel cuore”. Così i colleghi della Procura di Torino, dal procuratore generale Marcello Maddalena al procuratore capo Giancarlo Caselli, hanno ricordato Bruno Caccia nel corso di questi anni. Un magistrato “intelligente, integerrimo, irreprensibile”, come lo descriveva il quotidiano di Torino il giorno della morte. Caccia era alla guida della Procura nella città della Mole durante gli Anni di Piombo, quando il terrorismo rosso e nero insanguinava le strade e la criminalità soffiava sul fuoco della violenza, compiendo omicidi e rapimenti.

Caccia e il suo team non si sono fermati davanti a nulla: hanno indagato, controllato, incrociato nomi e informazioni, scoperchiato il sottobosco di corruzione e i legami tra imprenditoria, politica e malaffare, indagato sulle Br e i Nar ma anche sulla criminalità organizzata. Hanno capito di dover combattere una guerra e lo hanno fatto con le armi della legge, del rigore inflessibile, ottenendo risultati sempre più importanti.

Il Procuratore sapeva di correre grossi rischi; il suo lavoro aveva colpito terroristi e boss della ‘ndrangheta, politici e pezzi grossi della Torino bene. Era un uomo prudente e molto attento, girava sempre sotto scorta, ma era riuscito a ritagliarsi un momento tutto suo, quello della passeggiata notturna con il cane.

Anche la sera del 26 giugno 1983. Era sceso sotto casa, in via Sommacampagna, davanti al numero civico 15, sulla precollina di Torino, con il cocker al guinzaglio quando da un’auto sono scesi i killer che lo hanno freddato con 14 colpi di pistola. La sua morte ha sempre avuto punti oscuri, nascosti dall’omertà e dalla paura: ora, dopo 32 anni, qualcosa inizia a muoversi.

Lorena Cacace

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