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Brusca esce dal carcere: fu tra gli artefici della strage di Capaci

Dopo aver scontato una pena di 25 anni in carcere, il boss mafioso Giovanni Brusca è tornato libero. Un tempo fedelissimo del boss di Cosa nostra, Totò Riina, Brusca è diventato un collaboratore di giustizia, ammettendo il proprio coinvolgimento nella strage di Capaci e nell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Brusca ha lasciato il carcere di Rebibbia, a Roma, con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna, per buona condotta. L’uomo sarà sottoposto a controlli e protezione, oltre a quattro anni di libertà vigilata, come stabilito dalla Corte d’Appello di Milano.

Azionò il telecomando della strage di Capaci

I servizi di vigilanza e sorveglianza dovranno tenere conto dell’enormità e della gravità dei delitti e delle stragi commesse che lo stesso Brusca ha confessato nel corso degli anni. Oltre ad aver azionato il telecomando che innescò la strage di Capaci, uccidendo il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro, Brusca ha ammesso le sue responsabilità nel rapimento del tredicenne Giuseppe Di Matteo, che fu ucciso e sciolto nell’acido.

Brusca lascia il carcere dopo 25 anni

L’ex boss era stato arrestato nel 1996 nel suo covo in provincia di Agrigento e dopo alcuni anni ha iniziato a collaborare con la giustizia. La scarcerazione era prevista nel 2022, ma è stata anticipata per buona condotta, dopo aver scontato una pena di 25 anni, suscitando polemiche e critiche specialmente da parte dei familiari delle vittime. Noto per la sua ferocia, Brusca si guadagnò negli anni Novanta l’appellativo di “scannacristiani”. Oggi può contare sui benefici attribuiti ai cosiddetti collaboratori “affidabili”, di cui si era già tenuto conto nel calcolo delle condanne che complessivamente arrivano a 26 anni.

Maria Falcone: “Mi addolora ma questa è la legge”

Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata“, ha commentato Maria Falcone, sorella del magistrato Giovanni. “Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso“, ha aggiunto la sorella di Giovanni Falcone.

La stessa magistratura in più occasioni ha espresso dubbi sulla completezza delle sue rivelazioni, soprattutto quelle relative al patrimonio che, probabilmente, non è stato tutto confiscato“, ha proseguito Maria Falcone. E ha concluso: “Non è più il tempo di mezze verità e sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio e Rocco che un uomo che si è macchiato di crimini orribili possa tornare libero a godere di ricchezze sporche di sangue“.

Tina Montinaro: “Lo Stato mi ha preso in giro”

Lo Stato mi ha preso in giro, sono sconfortata“, sono le prima parole di Tina Montinaro, la vedova di Antonio, il caposcorta di Giovanni Falcone. “Lo Stato mi ha preso in giro, sono sconfortata: a distanza di 29 anni non so ancora la verità su Capaci e chi ha schiacciato il bottone e distrutto la mia vita torna libero“, ha commentato Tina Montinaro senza celare la sua indignazione. E ha concluso: “Non è servito a nulla quanto è successo a Palermo. Ho bisogno di uno Stato che ci tuteli non che liberi i criminali“.

Linda Pedraglio

Mi chiamo Linda Pedraglio. Sono nata e cresciuta in un piccolo paese vicino al lago di Como, ma, fra studio e lavoro, ho avuto modo di vivere città diverse: l’Erasmus a Helsinki, gli anni dell’università a Milano, il corso di giornalismo a Firenze. Sogno una piccola casa sul lago, piena di libri, che sono il mio affaccio sul mondo, e un orto di pomodori e peperoncini. Attualmente, collaboro con Alanews nella produzione di contenuti per il network Deva Connection, dove mi occupo di donne, salute e benessere, con qualche incursione nel percorso di emancipazione femminile.

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