I monumentali Buddha di Bamiyan distrutti nel 2001 dai Talebani afghani potrebbero tornare a risplendere: l’appello alla ricostruzione arriva a quindici anni dallo scempio iconoclasta compiuto dagli integralisti islamici che, il 12 marzo del 2001, hanno fatto esplodere le mastodontiche sculture scolpite nella roccia, a qualche centinaio di chilometri dalla capitale afghana. Una perdita enorme per la cultura e la storia di questo Paese, ha commentato, ricordando l’anniversario, Ahmad Hussain Ahmadpoor, portavoce del Dipartimento per la Cultura e l’Informazione dell’Afghanistan, ribadendo che, nonostante gli innumerevoli sforzi, ancora nulla è stato fatto per riportare in vita i due monumenti, tra gli esempi più preziosi dell’arte buddhista dell’Asia centrale.
Quindici anni fa la furia iconoclasta dei Talebani si scatenò contro due delle rappresentazioni più importanti dell’arte Gandhara afghana: i Buddha di Bamiyan, due enormi statue di 33 e 55 metri, scolpite nella pietra nell’omonima valle. Avevano quasi duemila anni ma furono distrutte con la dinamite perché considerate ‘simboli pagani’. Un vero e proprio attentato alla cultura mondiale voluto dagli integralisti guidati dal Mullah Omar per protestare contro le comunità internazionali, ree di prestare attenzione alle statue quando il popolo afghano, invece, versava in condizioni di fame e di miseria.
Dal 2001 ad oggi, nonostante gli innumerevoli sforzi, nulla di concreto, ha lamentato ancora Ahmadpoor, è stato fatto per la ricostruzione dei due preziosi reperti. Perciò ora, a quindici anni dallo scempio, per ricordare i Buddha distrutti, molti attivisti e rappresentati della cultura afghana sono intervenuti ribadendo l’importanza dei due monumenti e lanciando un appello affinché le organizzazioni internazionali, in primis l’Unesco, si impegnino concretamente per la loro ricostruzione: il restauro del sito, infatti – i Buddha di Bamiyan sono stati distrutti ma il loro profilo è facilmente riconoscibile all’interno delle cavità ove furono costruiti – non è mai stato una delle priorità dell’Organizzazione, pur riconoscendo la zona, nel 2003, come Patrimonio mondiale dell’Umanità.