Uccidere i lupi per salvare i lupi. Ciò che sembra un controsenso è uno dei punti più controversi del Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia (per gli amici ‘Piano Lupo’) stilato dal Ministero dell’Ambiente con la consulenza di 70 esperti. Il piano prevede, fra le altre cose, l’abbattimento del 5% dei lupi.
Dopo essere stati classificati come specie protetta per 46 anni, i lupi potrebbero adesso andare incontro a una serie di uccisioni programmate, finalizzate a ridurne il numero.
Se molti cacciatori hanno già iniziato a lustrare i fucili, c’è un cacciatore in particolare che osserva la situazione con molta attenzione: si tratta di Alberto Poggio, assessore all’Ambiente del comune savonese di Cairo Montenotte. Poggio vive in un territorio dove il lupo è di casa e, sebbene come già detto sia un cacciatore, ritiene che l’abbattimento programmato dei lupi non sia la strada giusta da seguire.
I lupi sono animali sociali che vivono, si spostano e predano in gruppo. Eliminare singoli esemplari significa alterare gli equilibri dell’intero branco e rischiare di aggravare quelle problematiche che invece si desidera risolvere. Ipotizziamo ad esempio che un cacciatore uccida un maschio alfa, ovvero quello che guida il branco e che conosce meglio degli altri esemplari i luoghi di passaggio di cinghiali e cerbiatti. Il branco rimasto senza una guida esperta potrebbe disimparare a seguire le tracce della selvaggina per andare a colpo sicuro attaccando greggi stanziali. I capi branco sono anche i lupi che meglio degli altri conoscono le greggi da evitare perché protette da cani anti-lupo e reti elettrificate. Il rischio è quindi quello di depotenziare la funzione di questi deterrenti. Eliminare il capo potrebbe portare il branco a perdere quel prezioso patrimonio di esperienze che risultano utili anche all’uomo.
Innanzitutto assicurarsi di avere fatto tutto ciò che è possibile nell’ambito della prevenzione, come fornire gratuitamente agli allevatori dei cani da guardiania opportunamente addestrati e consentirgli di realizzare con fondi pubblici recinzioni elettrificate, magari con un intervento dell’Unione europea. Questo è uno dei temi toccati da un recente convegno da noi organizzato.
Ce ne sono stati molti, ma occorre ricordare che il territorio di caccia dei lupi si estende per decine di chilometri quadrati per cui non si può escludere che molti di questi avvistamenti si riferiscano agli spessi branchi che si spostano da un territorio all’altro; questa è una delle maggiori difficoltà nel realizzare i censimenti.
Quando si parla di lupi spesso si tende a lasciarsi travolgere dall’emotività mettendo in evidenza il pericolo per l’uomo e i danni per le attività degli allevatori. Per cui prima di tutto occorre fare una corretta informazione, anche per diffondere la consapevolezza che la coesistenza fra il lupo e l’uomo non solo è possibile, mettendo in pratica la corretta prevenzione, ma può essere gestita come una risorsa di tipo naturalistico, ma anche economico.
L’assessore Stefano Mai avrà condotto, insieme ai suoi tecnici, studi e verifiche che lo hanno portato a ritenere che questa fosse la soluzione più appropriata (invece in merito al Piano Lupo l’assessore Mai ha espresso in data 31 gennaio 2017 un orientamento più propenso alla prevenzione che all’abbattimento ndr). Se si vuole realmente percorrere la strada degli abbattimenti è necessario stabilirne i numeri e le modalità, nonché decidere che vengano effettuati da un gruppo ristretto di operatori opportunamente formati. Io da parte mia ho sollevato la questione dell’esistenza di possibili soluzioni alternative, e colgo l’occasione per ricordare anche che già attualmente circa il 5% dei lupi viene ucciso dal bracconaggio, un fenomeno che allarga in maniera abusiva la platea di chi attua la selezione dei capi. Ma se ciò nonostante continuiamo a porci il problema degli abbattimenti, significa che questa soluzione da sola non funziona.
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