Sette italiani su dieci pensano che la ricerca scientifica sia utile e sei su dieci credono che porterà miglioramenti nella qualità della vita e nella cura dei pazienti. Nonostante questo, negli ultimi dodici anni il settore delle donazioni alla ricerca medico-scientifica segna un calo sempre più deciso, fino a toccare i sei milioni in meno di donatori.
I risultati di questa indagine sulla percezione degli italiani circa la ricerca medico scientifica sono stati presentati in occasione della premiazione dei vincitori dei tre bandi di concorso Fellowship Program, Community Award e Digital Health Program promossi da Gilead Sciences Italia per sostenere progetti di natura scientifica, sociale e tecnologica che possano migliorare la qualità di vita dei pazienti.
In tutto sono stati premiati 66 progetti che hanno come obiettivi comuni conoscere, prevenire e combattere le malattie infettive, oltre che migliorare la vita di chi soffre di patologie oncoematologiche. La rosa dei vincitori è stata scelta dalle commissioni giudicatrici tra oltre 171 progetti candidati provenienti da tutta Italia.
Ai vincitori è stato devoluto un finanziamento complessivo di oltre un milione e mezzo di euro, che si aggiunge ai 6 milioni delle 6 edizioni precedenti. In 7 anni di concorsi sono stati premiati 327 progetti, presentati da 260 ricercatori, ricercatrici e associazioni di pazienti. “Siamo orgogliosi di promuovere da 7 anni questi 3 bandi che hanno portato a risultati davvero importanti – afferma Valentino Confalone, general manager della divisione Italia del gruppo farmaceutico – E’ un’iniziativa che rispecchia ciò che siamo e ciò in cui crediamo da trent’anni: la ricerca di terapie innovative per migliorare la salute e la qualità di vita di milioni di pazienti in tutto il mondo”.
Come dicevamo, però, dallo studio emerge che sebbene 7 italiani su 10 ritengano utile la ricerca, il settore delle donazioni è calato nell’ultimo decennio fino a far contare 6 milioni di donatori in meno negli ultimi 12 anni. Poco conosciuta l’area delle malattie infettive, che risultano ultime tra le patologie a cui donare dopo tumori, malattie neurodegenerative e malattie cardiovascolari.
Il motivo è soprattutto legato alla scarsa conoscenza e alla lontananza dalla propria esperienza personale: queste malattie sono spesso sentite come estranee a sé e pensate come conseguenze di stili di vita scorretti. “Le risorse private e pubbliche sono sempre più scarse e tra la gente permane un pregiudizio verso le patologie infettive” osserva infatti Massimo Andreoni, professore ordinario di Malattie infettive all’Università Tor Vergata di Roma e membro delle commissioni giudicatrici dei tre bandi.
Ad ogni modo i dati parlano chiaro: gli over-60 restano i più generosi, mentre i giovani sono più distratti. Gli italiani donano poco alle associazioni dei pazienti. Solo il 7% degli intervistati dichiara di conoscerle. Tra gli ambiti a cui gli italiani indirizzano le proprie donazioni, le associazioni di pazienti sono infatti all’ultimo posto, dopo gli aiuti per le emergenze umanitarie, le adozioni a distanza e perfino la protezione degli animali. “Il problema è sempre la scarsa conoscenza – commenta Isa Cecchini di Gfk – perché solo il 7% degli italiani dichiara di conoscere un’associazione di pazienti, per passaparola o per coinvolgimento diretto. E’ evidente che per favorire le donazioni le associazioni dovranno necessariamente farsi conoscere di più e meglio, utilizzando canali di comunicazione a più largo raggio”, conclude.
In collaborazione con AdnKronos
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