L’Italia scopre gli effetti del cambiamento climatico nel modo peggiore. Nelle ultime settimane dal Nord al Meridione, piogge incessanti hanno colpito la penisola italiana provocando allagamenti ed alluvioni in tantissime città italiane. A registrare i danni peggiori è stata Venezia, dove un conteggio reale dei danni potrà essere fatto solo al termine dell’emergenza ancora in corso. Nei giorni scorsi, oltre il centro storico, il capoluogo veneto ha visto allagata anche l’aula del Consiglio regionale, a palazzo Ferro Fini, lungo il Canal Grande.
Poco prima, il Consiglio aveva discusso in materia di cambiamenti climatici e la Lega aveva respinto alcuni emendamenti sul tema. Nelle proposte dell’opposizione si chiedevano finanziamenti per le fonti rinnovabili, per le colonnine elettriche, per la sostituzione degli autobus a gasolio con altri più efficienti e meno inquinanti, per la rottamazione delle stufe, per finanziare i Patti dei Sindaci per l’Energia Sostenibile e il Clima (Paesc), per ridurre l’impatto della plastica, ecc. Ma la natura ha saputo dimostrare comunque le sue ragioni, travolgendo le paratie e portando l’ondata di piena nei palazzi del potere.
L’onda di rivolta sul tema, in forme diverse, coinvolge tutto il mondo ormai da mesi con i Fridays for Future (venerdì per il futuro), gli scioperi scolastici per il clima lanciati dalla giovane attivista svedese Greta Thunberg che in poco tempo è diventato un movimento internazionale di protesta, composto da alunni e studenti che decidono di non frequentare le lezioni scolastiche per partecipare a manifestazioni in cui chiedono e rivendicano azioni atte a prevenire il riscaldamento globale e il cambiamento climatico. Dallo scorso anno è presente in molti paesi anche il cosiddetto Extinction Rebellion (abbreviato in XR), un movimento socio-politico non violento per evitare i cambiamenti climatici, fermare la perdita di biodiversità e minimizzare il rischio di estinzione umana e il collasso ecologico, che mette in atto spesso spettacolari azioni di disobbedienza civile.
Lotta Globale: dall’ambiente ai diritti umani
Movimenti di protesta cresciuti dal basso ed esplosi in pochissimo tempo come Occupy Wall Street negli USA, gli Indignados in Spagna, il movimento dei forconi in Italia ed i gilet gialli in Francia, negli anni scorsi hanno provato a portare, con motivazioni diverse, la voce dei cittadini scontenti nei palazzi del potere. Nelle ultime settimane dal Cile al Sudan dall’Algeria ad Haiti, da Hong Kong all’Iraq, dall’Ecuador al Libano, dal Kurdistan alla Spagna, nuove rivolte scuotono il mondo. Legate da un filo rosso. Se infatti, ad un primo sguardo, tutti questi eventi possono essere visti come il frutto di movimenti locali nati da situazioni specifiche, alcune analogie nelle richieste dei manifestanti ne svelano uno spirito comune. In Cile sono stati solo quattro centesimi di dollaro, il costo dell’aumento della metropolitana, a scatenare la protesta. In Libano la tassa di 20 centesimi al giorno della stessa moneta per le videochiamate con WhatsApp, Facebook, Messenger e FaceTime. In Sudan il pane, il cui valore è triplicato. In India le cipolle che hanno fatto registrate il record di rincaro del 700 per cento a causa dello scarso raccolto. In Ecuador la benzina più salata per la fine dei sussidi. Ad Haiti la stessa motivazione ha portato anche al vertiginoso aumento degli alimenti di prima necessità. E non è rimasta immune nemmeno la ricca Arabia Saudita per il raddoppio del prezzo di un oggetto voluttuario, l’uso del narghilè nei caffè e nei ristoranti. Ma queste più che le cause sembrano le conseguenze del problema centrale del nostro tempo. La povertà ad Haiti, il militarismo delle destra cilena, la dollarizzazione dell’economia in Ecuador e in Libano, il rifiuto del governo spagnolo di ammettere l’esistenza di una questione catalana o le aspirazioni democratiche dei giovani di Hong Kong, provocano proteste simili poiché in tutti i casi la popolazione vuole avere il diritto di esprimere il proprio scontento per una situazione politica ed economica elevata a totem immutabile.
La rivolta 4.0
La situazione è particolare anche perché tutte le proteste stanno scoppiando nello stesso momento, ed è inevitabile immaginare che non siano collegate tra loro. Il minimo comun denominatore è l’ascesa dal basso, l’assenza di leader riconoscibili e la verticalità dei movimenti di protesta. Spesso il volto carismatico è un simbolo che incarna un’idea di rivolta. Nelle ultime settimane, in molte piazze di protesta nei quattro angoli del pianeta, si è vista la maschera di Joker, il cattivo di Batman reso “umanamente vicino” da Joaquin Phoenix, come icona delle proteste. Negli anni passati furono le maschere dei rapinatori della fortunata serie “La Casa di Carta”, che saccheggiavano le principali istituzioni finanziarie ed ancora prima l’ispirazione fu data dalla maschera di Guy Fawkes, il “terrorista” anarchico che combatteva il potere dittatoriale in “V per Vendetta”.
Il legame globale tra le varie proteste locali potrebbe essere individuato nella crisi economica del 2008, con la decadenza del modello neoliberista basato sull’economia finanziaria ma anche la messa in discussione delle politiche restrittive e protezioniste succedutesi. Con l’affacciarsi di una nuova rivoluzione industriale, la cosiddetta industrializzazione 4.0 e la rivoluzione digitale del sistema produttivo, la politica non ha saputo fronteggiare le sfide poste dal cambio di modello produttivo ed ha abdicato il ruolo di gestione al mercato. Lo stesso mercato che, a causa di profondi squilibri interni, ha provocato la crisi iniziale. La finanziarizzazione dell’economia, la mercificazione del lavoro, le ingiustizie fiscali che reggono l’economia digitale hanno portato quindi i diseredati del globo a ribellarsi ad ogni latitudine.
In effetti, al momento non esiste una normativa omogenea a livello internazionale che garantisca i lavoratori della nuova economia digitale. Nella gig economy ad esempio i lavoratori sono considerati come collaboratori autonomi/freelance, ed al momento, nulla sono valse le rivendicazioni sindacali. Contratti poco chiari (con la scusa di dare al lavoratore maggiore flessibilità), paghe incerte, rischi di discriminazione legati ai rating ed alla revisione dell’attività da parte degli algoritmi sono il pane quotidiano delle nuove generazioni. Inoltre, recenti inchieste, hanno mostrato anche delle inquietanti forme di controllo da parte delle piattaforme digitali, spesso pervasive tanto quanto quelle del lavoro dipendente, che seguono il lavoratore in ogni suo minimo spostamento (anche fuori dall’orario lavorativo).
Il megafono dei nuovi protestanti diventano le stesse innovazioni tecnologiche che ne condizionano l’esistenza. App e social network vengono usati per organizzare e alimentare le rivolte: ci sono specifici software per smartphone che radunano manifestanti per i cortei fino alle mappe che in tempo reale avvisano sugli spostamenti della polizia. La più famosa, “Tsunami Democratic” (proprio per tornare all’onda inziale) è l’applicazione al centro delle proteste che da settimane stanno infuocando la Catalogna, bloccato dai principali app store ufficiali e dai governi. Inoltre tutte le proteste vedono il massiccio utilizzo di applicazioni di messaggistica che “criptano” le comunicazioni, garantendo l’anonimato a chi le usa e l’impossibilità di essere intercettate (ad esempio Telegram). Le rimozioni e i ban non limitano la diffusione di queste forme di rivolta al controllo digitale. I governi e le multinazionali che hanno utilizzato le innovazioni digitali per profilare l’elettorato per, attraverso l’analisi dei dati, sfruttarne l’impatto emotivo con l’elaborazione di una comunicazione strategica per la campagna elettorale, si trovano ora masse di protestanti che utilizzano le loro stesse armi di propaganda. L’onda della rivolta della generazione digitale, come nel caso dei fenomeni naturali, travolge qualsiasi resistenza rivendicando corretta retribuzione e certezza dei propri diritti, perché tra questi due elementi la connessione è molto più solida di quanto si creda.