Virginia Raggi rompe il silenzio e, a 24 ore dalle dimissioni di elementi chiave della giunta Capitolina, parla da sindaca di Roma in totale autonomia. Il caos politico tutto interno al M5S dopo ‘addio del capo gabinetto Carla Raineri e dell’assessore al Bilancio e alle Partecipate Marcello Minenna, oltre a quelli dei vertici di Atac e Ama (quest’ultimi appena nominati) segna un primo punto a favore della sindaca di Roma. Nelle ore successive alle dimissioni di Raineri e Minenna si parlava dell’arrivo di Beppe Grillo nella capitale previsto per lunedì, incontro che è saltato perché il leader dei pentastellati avrebbe deciso di lasciare il comando alla Raggi. “Stiamo lavorando per individuare delle personalità di rilievo che possano contribuire al rilancio della città. Non ci fermiamo“, ha detto la sindaca nella riunione di maggioranza. Si stanno vagliando i curriculum, dice, mentre rilancia l’ipotesi di “poteri forti” e di un movimento che “darebbe fastidio“, già annunciata da Luigi di Maio. “Le dimissioni non ci spaventano. Diamo fastidio ai poteri forti ma siamo uniti e determinati. Siamo decisi a lavorare per il bene di questa città“, le sue parole.
Mentre i vertici del M5S tacevano, con Grillo in vacanza a Olbia, Alessandro di Battista in tour per il no al referendum, la Taverna e la Lombardi pronte a farla cadere, l’unico a difendere la prima cittadina era stato il vicepresidente della Camera che aveva parlato delle difficoltà di amministrare la Capitale e citato “poteri contro” nel suo intervento a Sassari per la campagna sul referendum.
“Chi pensava che governare Roma sarebbe stata una passeggiata si sbagliava. Ci siamo fatti tanti nemici, il sistema dell’acqua, dei rifiuti, il no alle olimpiadi, ma governeremo Roma. Questo è solo l’inizio“, assicurava. “Essere sindaco del M5S non è una cosa semplice, ma noi questa sfida vogliamo prenderla. Quindi noi da domani faremo le nuove nomine e andremo avanti perché noi a Roma vogliamo cambiare tutto, lo abbiamo promesso e lo faremo“, dice, tirando fuori di nuovo la teoria del “complotto per farci governare” che fu della Taverna, ora riletta in chiave “non vogliono farci governare”.
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L’intervento del vicepresidente della Camera era arrivato a ridosso dello sfogo della Raggi. “Basta guerre intestine o io sono pronta a mollare tutto“, pare abbia detto in lacrime nel vertice di maggioranza riunito nella tarda serata del 1° settembre. Che la Raggi non fosse sola a decidere sulle nomine era stato chiaro fin dall’inizio: in molti però speravano che l’accordo trovato con i vertici romani, Paola Taverna e Roberta Lombardi su tutti, avrebbe retto. Alla luce dell’addio della Ranieri e di Minenna le divisioni sono venute a galla.
COSA È SUCCESSO NEL M5S A ROMA
Per cercare di districare il caos romano bisogna fare un passo indietro. A poco più di cento giorni dalla nomina, la Raggi non solo non ha potuto far partire le sue politiche per “salvare Roma”, come ha ripetuto in campagna elettorale, ma rischia di chiudere in anticipo la sua avventura in Campidoglio.
La sua elezione a furor di popolo è stato visto da subito come il banco di prova di tutto il M5S che, con il governo di Roma, vuole mostrare di essere pronto a governare il paese. Da qui i contatti perenni tra i deputati e senatori del cerchio magico di Grillo e la Raggi che però è andata dritta per la sua strada.
La scelta di Daniele Frongia, ex uomo di Gianni Alemanno e Renata Polverini, di Raffaele Marra e Salvatore Romeo non sono piaciute ai vertici del direttorio e neppure allo stesso Grillo che avevano cercato di dissuaderla. Nulla da fare: lei ha tenuto duro e ha nominato l’ex uomo di Alemanno suo vice, Marra vice capo gabinetto e a capo della segreteria politica l’ex dipendente del Campidoglio.
È da questa forzatura che nasce la rottura che ha portato alla crisi odierna. La scelta della Raineri aveva già sollevato un polverone di polemiche per quello stipendio da 193mila euro che stride con ogni dettame del M5S sulla “povertà della politica“. Quando poi Marra, il fedelissimo della Raggi, ha inoltrato la richiesta di parere all’Anac sul contratto del capo gabinetto, all’insaputa del direttorio romano (e della Taverna, che è apparsa la più furiosa), la bolla era pronta a scoppiare.
Dietro alla richiesta all’Anac infatti non c’è solo il caso del mega stipendio, dato secondo un articolo sbagliato e non in linea con i parametri della legge che regola le nomine dei ruoli nei comuni. L’Autorità anti corruzione ha bocciato la scelta della Raggi, la stessa magistrata Raineri specifica che le dimissioni non centrano nulla con lo stipendio ed è pronta a querelare chiunque sostenga il contrario, ma c’è da capire perché la sindaca abbia prima fatto le nomine e poi abbia fatto richiesta di controlli. È quello che si chiede ora tutto lo staff romano, rimasto senza parole davanti a un’operazione al contrario che non avrebbe senso e che invece un senso ce l’ha.
Quando la Raggi ad agosto scelse Marra come vice, dal direttorio arrivarono strali e polemiche sulla necessità di chiamare un dipendente del comune, metterlo in aspettativa e riassumerlo al triplo dello stipendio. La sindaca, per tutta risposta, minacciò di rivolgersi all’Anac per controllare tutte le nomine, anche quelle fatte insieme ai vertici, tra cui quella della Raineri. Quando è arrivato il no, il caos è scoppiato e l’effetto domino ha travolto la giunta capitolina, rischiando di far cadere non solo la sindaca ma anche di vanificare i sogni di governo di tutto il movimento.
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