Maremma, caso di caporalato: lavoratori costretti a lavorare per pochi euro all’ora, dai quali veniva detratto anche l’affitto. Costretti, inoltre, a vivere anche in condizioni disumane, in alloggi senza corrente elettrica, né acqua calda.
Centinaia di lavoratori prendevano 2,50 euro l’ora e veniva sottratto loro l’affitto: vivevano un un casolare, costruito sulle proprietà dei datori, in condizioni disumane, senza luce, riscaldamento, né acqua potabile. I datori di lavoro avevano percepito oltre 151 mila euro di erogazioni pubbliche comunitarie: condannati a pagare 5.800.000 euro. Accusati, inoltre, di evasione fiscale per migliaia di euro.
A Piombino, è emerso un grave caso di caporalato. Centinaia di lavoratori, sia italiani che stranieri, erano costretti a lavorare nei campi per una paga misera, che ammontava solamente a 2.50 euro l’ora. Non è tutto: queste persone erano costrette a vivere in abitazioni senza acqua, né riscaldamento, né elettricità, in condizioni ai limiti della sopravvivenza.
Inoltre, dallo stipendio così basso che percepivano lavorando, gli veniva loro detratto anche l’affitto delle case che usavano come posto in cui stare dopo un’estenuante giornata di lavoro. I braccianti agricoli, in aggiunta, lavoravano senza avere un regolare contratto di lavoro.
Le indagini per fare emergere questo caso di caporalato sono iniziate nel mese di luglio 2019, condotte dalle Fiamme Gialle. Gli imprenditori coinvolti sono tre, secondo quanto riferisce la Guardia di Finanza, i quali, una volta ricevuti gli avvisi di garanzia, hanno pagato le sanzioni amministrative, pari a 5.800.000 euro.
Come riferisce la GDF, le persone coinvolte sono responsabili “delle violazioni amministrative in materia di lavoro riferibili a 854 rapporti di impiego, con l’applicazione di 571 distinte maxi sanzioni per lavoratori completamente ‘in nero’ nonché di ulteriori 283 sanzioni per infedeli registrazioni sul Libro unico del lavoro“.
Come vi anticipavamo, i braccianti agricoli erano costretti a condurre una vita ai limiti della sopravvivenza, in abitazioni sprovviste di qualsiasi fornitura: non c’erano, infatti, gas, luce e riscaldamento.
I lavoratori, infatti, vivevano in un casolare abusivo, in condizioni igienico-sanitarie precarie: tale immobile era stato costruito sui terreni delle aziende agricole per le quali prestavano servizio. L’affitto era direttamente decurtato dallo stipendio.
Infine, i proprietari delle aziende, che sfruttavano, in maniera disumana i braccianti agricoli, non hanno dichiarato al fisco redditi per oltre due milioni di euro, omettendo, inoltre, i versamenti di IVA e imposte di diversa natura, pari a 600 mila euro.
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