A Paternò, in provincia di Catania, un imprenditore di un’azienda agricola locale è stato sospeso per un anno dall’esercizio della sua attività per le segnalazioni di caporalato e abusi nei confronti dei suoi dipendenti.
La denuncia che ha fatto scattare i controlli e i relativi provvedimenti giudiziari è avvenuta grazie alle segnalazioni di quattro braccianti marocchini che prestavano, letteralmente si potrebbe dire, il proprio lavoro nell’attività poi incriminata.
L’accusa formulata dalla Procura di Catania ad un imprenditore agricolo di Paternò, Catania, è di sfruttamento del lavoro ed estorsione. L’uomo, stando al rapporto degli inquirenti, avrebbe assunto alcuni braccianti immigrati pagando loro 150-200€ al mese invece dei mille prestabiliti dal contratto nazionale di categoria.
Non solo: al fine di avviare le pratiche per il riconoscimento ufficiale del permesso di soggiorno e conseguente regolarizzazione dei dipendenti, il titolare dell’attività ora sotto sequestro avrebbe preteso dai quattro uomini ben 8 mila Euro, una cifra assolutamente fuori dalla portata di questi ultimi nonché completamente estranea a qualsiasi procedura di riconoscimento dei documenti necessari al soggiorno nello Stivale.
Naturalmente la leva per ottenere tali fondi mantenendo la dinamica di sfruttamento si sostanziava nella minaccia di licenziamento, attraverso la quale l’imputato vincolava la propria forza lavoro ad accettare il misero stipendio pur di non ritrovarsi completamente sprovvisti di alcuna entrata finanziaria.
Secondo la Procura di Catania i braccianti erano sottoposti a mansioni prive di qualunque tutela igienica o di sicurezza fisica, da svolgere in turni estenuanti assolutamente scevri di riposi settimanali, ferie, indennità accessorie ed ogni altra tutela vincolata per legge.
Ora, fortunatamente, si potrebbe aprire un futuro di maggiori speranze per gli impiegati della struttura agricola, grazie innanzitutto al coraggio dei quattro marocchini che hanno trovato la forza di denunciare nonostante le intimidazioni di provvedimenti minacciate dall’impresario.
Questi ultimi hanno trovato un sostegno importante alla rivelazione della loro condizione agli organi di polizia anche dalla collaborazione e aiuto offerto loro dalla Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Quest’ultima coopera con il progetto governativo “Di.Agr.A.M.M.I. Sud” (Diritti in Agricoltura attraverso Approcci Multistakeholders e Multidisciplinari per l’Integrazione), che riceve il finanziamento pubblico da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali col fine appunto di intervenire in quei contesti di sfruttamento e caporalato fin troppo diffusi tra le aziende agricole del Bel Paese.
Inoltre la denuncia che ha portato ai controlli odierni ha reso manifesta la presenza nell’azienda di Paternò di altri sei impiegati sotto sfruttamento, di cui quattro tra questi pagati in nero.
Se plaudere al coraggio e alla speranza di un futuro migliore è il primo gesto da rivolgere ai quattro marocchini denunciatori, la vera standing ovation si avrà solo quando non si vivrà più in una cultura che ritiene il prezzo di vendita di un ortaggio più importante della salute e delle tutele delle persone che permettono a quell’alimento di giungere nei nostri punti vendita.
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