Cardiologia, Italia ai vertici UE: l’obiettivo è aumentare gli investimenti in tecnologia

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In occasione della giornata di chiusura del 78esimo congresso della Società italiana di cardiologia (Sic) che si è tenuto a Roma, Pasquale Perrone Filardi, presidente della Finsic, ha voluto ricordare i traguardi raggiunti dal nostro Paese, l’Italia è infatti “un punto di riferimento all’interno della Società europea di cardiologia (Esc), la più importante realtà scientifica di settore al mondo, e il nostro Paese in termini di qualità e quantità di contributi scientifici risulta ai primi posti, dietro solo alla Germania, su un totale di 56 Nazioni. Abbiamo un ruolo di altissimo profilo a livello europeo e mondiale, direi trainante, esprimiamo un’eccellenza in campo cardiologico, soprattutto i giovani stanno dimostrando una vitalità scientifica eccezionale, che fa onore al Paese e alla ricerca”. Parole che fanno ben sperare per il futuro.

Anche perché la sfida è proprio proiettata al futuro, dato che uno de prossimi obiettivi è aumentare la quota di investimenti in tecnologia. “Fra gli spunti emersi dal congresso di Roma – prosegue infatti Perrone Filardi – il grande sviluppo tecnologico della cardiologia valvolare e dei dispositivi biologici per la stenosi aortica, che hanno ridotto il ricorso all’intervento chirurgico e che rappresenta un’opportunità in più per molti pazienti. Progressi importanti si sono registrati anche nell’elettrostimolazione e per altre valvulopatie, dettati dal progresso tecnologico che sta davvero cambiando la vita dei malati”.

Un cambiamento che tocca diversi ambiti: “Soprattutto dal punto di vista dell’assistenza – ha aggiunto Francesco Romeo, past president della Sic – il nostro Paese vanta la mortalità più bassa d’Europa per infarto e la maggiore aspettativa di vita insieme al Giappone. Il problema è che oggi si potrebbe investire di più in tecnologie mininvasive e se l’Italia vuole continuare con il suo primato o anche migliorare, dovrà investire di più di quanto faccia oggi in queste soluzioni”.

L’esperto illustra i numeri del fenomeno: “Il 7% della popolazione dopo i 75 anni ha problemi alla valvola aortica e questa patologia è un esempio di campo dove si potrebbe applicare molto di più la cardiologia interventistica strutturale. Si tratta di difetti della struttura del cuore che prima erano prerogativa esclusiva della cardiochirurgia. E grazie all’esperienza accumulata oggi – prosegue Romeo – l’area di applicazione si espande anche alle valvole mitrali, oltre che aortiche. La cardiologia interventistica strutturale si è ampliata tantissimo con nuove applicazioni che ci consentiranno nel prossimo futuro di trattare tutte le patologie organiche del cuore con tecniche minivasive percutanee che rispettano l’integrità psicofisica dei pazienti”.

“Ma la sanità è ancora oggi un comparto diviso a silos: il costo di un’operazione mininvasiva viene considerato da solo, senza esaminare tutti i risparmi sulla preparazione prima, i problemi post-operatori dopo, e la riabilitazione successiva agli interventi che, invece, si svolgono a cuore aperto. Le direzioni generali delle strutture sanitarie tendono a considerare solo il Drg e non tutto il percorso che il paziente deve fare prima e dopo un intervento di cardiochirurgia. E, anche eticamente, dico che evitare al malato sofferenze inutili dovrebbe essere una priorità”, evidenzia Romeo.

L’esperto lancia infine un allarme: “in Italia queste tecniche sono oggi sottoutilizzate e con grande disparità regionale”.”Attualmente io posso operare in procedura mininvasiva solo i casi che i chirurghi rifiutano, ma ci sono tantissimi pazienti che potrebbero essere operati subito in questo modo, in mezz’ora contro le 5 ore necessarie per un intervento di chirurgia. E solo perché si deve risparmiare. In questo senso sarebbe positivo anche aprire un dialogo con le industrie di dispositivi medici, per far sì che abbassino il prezzo delle valvole”, conclude.

In collaborazione con AdnKronos

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