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Case-famiglia, un business a scapito dei bambini e dello Stato

Attorno alle case-famiglia italiane ruota un business da un miliardo di euro l’anno, che pesa sulle casse dello Stato e stronca il futuro dei bambini. Le adozioni vengono ostacolate e ritardate sia dalla burocrazia, sia dal potere del denaro: più aumenta la permanenza in comunità, più queste guadagnano. Con i soldi pubblici.

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Le case-famiglia in Italia sono circa 1800. Nonostante molti Comuni a cui spetta finanziarle siano al verde, sono in costante aumento. Non esiste un vero e proprio monitoraggio e spesso ciò che accade all’interno resta all’oscuro. In particolare è difficile far luce sulle comunità (non tutte, ovviamente) che di fatto lucrano sugli ospiti.

Sono oltre 20mila i minori (neonati, bambini, adolescenti) ospitati in queste strutture che dal 2006 hanno sostituito per legge i vecchi orfanotrofi. Anche se la sostanza cambia poco. Sono persone che non hanno mai conosciuto i genitori o sono stati allontanati da essi dai servizi sociali. La loro speranza è quella di essere assegnati a nuove famiglie con adozione o affido. 10mila l’anno sono le famiglie che ne fanno richiesta: una media bassa rispetto al resto dell’Europa.

Il problema è che spesso la permanenza viene allungata a dismisura non solo per la burocrazia ma anche per interessi economici. Basti pensare che un ospite costa alla casa-famiglia dai 70 ai 120 euro al giorno. Soldi pubblici erogati dal Comune. Un business di circa un miliardo di euro all’anno. Le comunità, laiche e religiose, tendono ad abbattere al massimo le spese risparmiando su tutto, facendo aumentare i profitti. Per evitare che si lucri sugli sfortunati basterebbe che le strutture giustificassero con precisione le spese: quelle destinate al cibo, ai vestiti e alle altre attività. Invece questo non avviene e il business si gonfia.

E così molte strutture hanno tutto l’interesse affinché gli ospiti prolunghino la permanenza. La media è di tre anni, un tempo molto lungo. Soprattutto per bimbi piccoli che perdono l’opportunità di essere affidati ai genitori nell’età più critica per la formazione. Per non parlare dei casi estremi di ragazzi che, compiuti i 18 anni, escono dalla comunità e non hanno un posto dove andare o tornano nella stessa famiglia da cui erano stati strappati. Non dimentichiamo, infine, la solita inefficienza della giustizia. Nei tribunali si accumulano decine di migliaia di fascicoli relativi ai minori, e le sentenze che ne decideranno il futuro, che sia in mano ai servizi sociali o a nuovi genitori, vengono rimandate di anni. Di certo uno snellimento delle procedure e l’estensione della possibilità di adottare a tutte le coppie consentirebbero allo Stato un enorme risparmio.

Francesco Minardi

Francesco Minardi è stata collaboratore di Nanopress dal 2016 al 2018, occupandosi principalmente di cronaca e politica interna ed estera,

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