La decisione è definitiva e non appellabile: il governatore lombardo Attilio Fontana è stato prosciolto nell’ambito del caso camici.
“Ha patito per 3 anni e oggi finalmente abbiamo messo la parola fine a questa vicenda. Non c’era niente di penale, mi dispiace per chi ha lavorato invano” ha detto il legale di Fontana.
La Corte d’Appello di Milano ha confermato il proscioglimento per Attilio Fontana, governatore della Regione Lombardia, nell’ambito del caso camici. Era accusato di frode in pubbliche forniture insieme ad altre 4 persone ma nel maggio dell’anno scorso il gup aveva emesso una sentenza importante per la quale non si può procedere perché il fatto non sussiste.
La decisione è definitiva e non appellabile, non solo nei confronti del presidente lombardo ma anche per gli altri indagati, quindi il cognato Andrea Dini, a capo della Dama spa, Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, entrambi membri di Aria (centrale acquisti regionale) e Pier Attilio Superti, vicesegretario generale di regione.
La Procura aveva chiesto che tutte le persone coinvolte andassero a processo ma essendo questa decisione definitiva, non può impugnare la decisione. Le motivazioni della conferma di quella sentenza di un anno fa arriveranno fra 90 giorni.
Nella stessa, si legge come il gup Chiara Valori ha scritto che la trasformazione da donazione di camici e altri dispositivi di protezione da parte di Dama alla centrale acquisti regionale, era stata portata a termine come stabilito da contratto, in trasparenza e con la consapevolezza delle parti. Quindi non è stata simulata ma dichiarata chiaramente, senza inganno.
Il caso fa riferimento a un’inchiesta avviata per fare luce sulla fornitura di camici e altri strumenti, da parte di Dama alla regione Lombardia durante la prima fase della pandemia.
In quel periodo la Lombardia aveva un disperato bisogno di questi dispositivi di protezione individuale, ricordiamo che è stata la zona che più frequentemente si trovava in allerta rossa. Tramite una mediazione fra Aria spa e l’azienda del cognato di Fontana, venne stipulato un contratto da 513mila euro per una fornitura di 75mila camici.
Però poi divenne una donazione e qui è scattata secondo i pm la presunta frode. Gli inquirenti infatti hanno ipotizzato la simulazione fin dall’inizio, di una donazione al posto del reale contratto di fornitura onerosa, per salvaguardare l’immagine del presidente dalle polemiche per il conflitto di interessi visto il legame di parentela.
Dopo tale trasformazione, Dini avrebbe interrotto la consegna delle ultime unità per cercare di vendere i camici altrove e quindi tentare di recuperare i soldi che non erano stati incassati. Secondo quanto emerso dalle indagini inoltre, lo stesso Fontana avrebbe provato a risarcirlo della donazione, usando dei conti svizzeri che sono stati oggetto del secondo filone di indagine, quello per autoriciclaggio.
Si era detto molto amareggiato Fontana e aveva sostenuto di aver agito solo per evitare danni a una Regione già molto provata dall’emergenza sanitaria.
“È emerso il contrario di quella che è la verità” ha sostenuto più volte.
Oggi il suo legale è soddisfatto della decisione dei giudici, sebbene con un po’ di amaro in bocca. “Non sono contento del fatto che ci sia voluto così tanto tempo e che siano state sprecate risorse per stabilire una cosa evidentemente fatta con buon senso” ha detto Jacopo Pensa, che si è occupato della difesa insieme al collega Federico Papa.
Anche il legale di Dini, Giuseppe Iannaccone, è intervenuto: “Il mio assistito è innocente, una persona cristallina e questo è stato confermato dalla Corte di Appello di Milano”.
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