Si aggiunge un capitolo al processo per la morte di Stefano Cucchi in apertura dell’udienza a carico di cinque carabinieri. Secondo il pm Giovanni Musarò, l’attività di depistaggio portata a termine per nascondere le responsabilità del decesso del giovane è stata talmente incisiva che perfino il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, venne inconsapevolmente indotto “a riferire il falso su atti falsi”. E sul caso, evidenzia il pm negli atti depositati, “si è giocata una partita truccata, con carte segnate. Una partita giocata sulle spalle di una famiglia”.
Il primo depistaggio
Secondo quanto emerso dai documenti depositati in aula dal pm Musarò, l’attività di depistaggio ebbe inizio già dal 26 ottobre del 2009. In quella data fu lanciata un’agenzia Ansa in cui Patrizio Gonnella e Luigi Manconi denunciavano pubblicamente che Stefano Cucchi al momento dell’arresto stava bene e che non aveva segni sul volto. I segni però furono visti dal padre il giorno dopo, nel processo per direttissima.
Le false annotazioni dell’Arma
Nelle parole del Pm davanti ai giudici della prima corte d’Assise si mette l’accento sulle annotazioni false: “A partire dal 26 ottobre del 2009 iniziano a pullulare richieste di annotazioni su ordine della scala gerarchica dell’Arma, comprese quelle false e quelle dettate. Cosa successe quel giorno? Il lancio di agenzia delle 15:38 scatena un putiferio. Dal Comando generale dell’Arma partono richieste urgentissime di chiarimenti. E tutte queste annotazioni non servivano al pm ma all’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano che avrebbe dovuto rispondere al question time alla Camera”.
‘Alfano disse il falso sulla base di atti falsi’
Il pm chiarisce quindi che “il ministro Alfano, per paradosso, si limitò a riferire il falso su atti falsi”. Ciò vuol dire che secondo l’accusa fu indotto con atti falsi a riferire il falso, quindi la sua azione è da intendersi come inconsapevole.
Il pm riferisce che “Alfano nel corso del question time disse, tra l’altro, che Cucchi era stato collaborativo al momento dell’arresto, omettendo ogni passaggio presso la compagnia Casilina e che era già in condizioni fisiche debilitate quando venne fermato”. “Da qui – sostiene il pm – parte una difesa a spada tratta dell’Arma e si traduce in una implicita accusa nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che avevano preso Cucchi in custodia per il processo”.
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In quel momento “il fascicolo dei pm Barba e Loy era contro ignoti ma per un gioco del destino il 3 novembre del 2009, quando Alfano ha finito di rispondere all’interrogazione, nel pomeriggio compare davanti ai magistrati il detenuto gambiano Samura Yaya che riferisce di aver sentito nelle camere di sicurezza del tribunale una caduta di Cucchi. Dichiarazione che è stata ritenuta inattendibile con sentenza definitiva”.
I dubbi sulle perizie
Altri episodi definiti inquietanti riguardano le conclusioni della perizia sulla morte di Cucchi presenti negli atti dei carabinieri: “In atti interni dell’Arma dei carabinieri che risalgono al periodo compreso tra l’ottobre e l’inizio novembre del 2009 compaiono già le conclusioni a cui sarebbero giunti i medici legali nominati dalla Procura sei mesi dopo” e che indicavano come “responsabili del decesso solo i medici”, aggiunge il pm definendo la circostanza come “inquietante”.
“Già in quegli atti si affermava che non c’era un nesso di causalità tra le botte e la morte di Cucchi, che una delle fratture era risalente nel tempo e che i responsabili del decesso erano solo i medici. Tutto ciò – aggiunge il magistrato – era stato scritto non solo quando i consulenti erano ben lontani dal concludere il loro lavoro ma quando la procura doveva ancora nominarli. Ciò lascia sconcertati”. Il pm ha quindi concluso sostenendo che: “Si è giocata una partita truccata sulle spalle di una famiglia, ma ormai qui c’è in gioco la credibilità di un intero sistema”.