Un caso di colera è stato accertato in Puglia, dove un 70enne è stato posto in isolamento e sono scattati i controlli sui familiari.
Circa un mese fa avevamo riportato una notizia analoga riguardante un uomo sardo ma poi l’allarme era rientrato. Comunque, possiamo dire con la notizia di oggi che l’allarme riguardante una malattia che pensavamo di aver debellato da anni, è tornato. Stavolta ha colpito un uomo di 70 anni e con certezza, i medici del reparto Malattie Infettive del Vito Fazzi di Lecce, hanno appurato che si tratta proprio di questa patologia, chiarendo però che il paziente è in condizioni stabili e si stanno conducendo tutti gli accertamenti del caso.
Un uomo di 70 anni residente in Puglia, nella città di Lecce, è stato ricoverato nel reparto Malattie Infettive dell’ospedale Vito Fazzi dopo essere risultato positivo al colera. I sintomi facevano pensare subito alla malattia e giunto in struttura, gli esami medici lo hanno confermato e ora si trova in isolamento per evitare che contagi altre persone.
Sono passati tantissimi anni dalle ultime epidemie di colera e oggi ne sentiamo parlare nuovamente. Precisiamo che si tratta di una malattia infettiva che viene contratta dall’ingestione di cibo o acqua contaminati. Si manifesta con diarrea e forti dolori addominali e il batterio, Vibrio cholerae, sopravvive molto bene in acqua potabile e nei fiumi, mentre è particolarmente sensibile alle elevate temperature.
In una nota diffusa dalla struttura dove si trova ricoverato il paziente, è stato scritto che presentava al suo arrivo una sintomatologia preoccupante e dopo essere stato in effetti isolato il microrganismo responsabile della patologia che fino ad alcuni decenni fa faceva tremare al solo nominarla, è stato posto in isolamento e sono iniziati gli accertamenti ma le sue condizioni generali sono buone ed è migliorato dal suo ingresso.
Sono arrivate anche alcune dichiarazioni dell’Asl di riferimento, che si sta interessando al caso per capire cosa il paziente abbia ingerito oppure quale acqua abbia bevuto per contrarre il batterio. Le indagini, svolte anche dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, hanno evidenziato al momento che l’uomo avrebbe bevuto e utilizzato delle acque non provenienti dall’Acquedotto della zona in cui abita.
“L’indagine epidemiologica ci ha portati a scoprire che il paziente avrebbe assunto alimenti a rischio ma gli approfondimenti sono ancora in corso e crediamo che la tipologia di vibrione non sia del tipo tossigeno e quindi non pericolosa, però per affermarlo con certezza dobbiamo aspettare gli esiti degli approfondimenti dell’Istituto Superiore di Sanità” ha detto il dipartimento di Prevenzione.
L’uomo in effetti è risultato positivo anche ad altro microrganismo responsabile della sintomatologia gastroenterica. Intanto le indagini sono estese anche ai suoi familiari, che sono sotto sorveglianza e già sono stati sottoposti ad alcuni esami di laboratorio.
Non c’è particolare allarmismo intorno a questa situazione, tuttavia si tratta di un batterio molto aggressivo e prima di tornare a casa, il 70enne dovrà affrontare un lungo percorso di cure ed essere sottoposto a tutti gli esami del caso. Ricordiamo infatti che il colera è altamente trasmissibile, in determinate circostanze anche da persona a persona, quindi non bisogna abbassare la guardia finché non sarà completamente guarito.
Residente in un comune di Lecce, è arrivato in ospedale nelle scorse ore per una forte gastroenterite. Sono stati effettuati degli accertamenti e alcuni valori alterati in modo anomalo hanno spinto i medici ad approfondire la sua situazione clinica. Poi le analisi hanno confermato i sospetti sul colera, però si attendono notizie più chiare dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e Basilicata.
Solo qualche settimana fa c’era stato un altro presunto caso in Sardegna, poi smentito poiché il batterio che aveva infettato l’uomo apparteneva alla stessa specie però non ai sierogruppi che causano la malattia.
Era inizio luglio quando abbiamo parlato di un caso di Colera in Sardegna, allarme che aveva creato grande preoccupazione dato che l’ultimo caso di tale patologia risaliva agli anni Settanta.
Tanti esperti hanno cercato di tranquillizzare le persone che chiaramente sono rimaste sconvolte dalla notizia, tuttavia un sospiro di sollievo lo si è potuto tirare solo quando è arrivata da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, la conferma che non si trattava di colera ma di un’altra infezione molto comune negli ambienti acquatici salmastri.
L’uomo è stato subito trasportato in ospedale, dove è stato ricoverato per accertamenti. Da accurati esami però è emerso che non era il colera la causa del suo malessere ma appunto un’altra infezione che solitamente non provoca sintomi ma in quel caso si era manifestata in modo più aggressivo.
Per fortuna tutto è finito per il meglio, comunque a partire da quel primo presunto caso, l’allerta è rimasta alta perché ad ogni modo se la parole colera è tornata sulle nostre pagine di cronaca, qualcosa sta succedendo e in effetti, come un oscuro presagio, oggi stiamo parlando di un caso accertato.
L’ultimo caso di colera risale a 50 anni fa, ma di cosa parliamo veramente quando ci riferiamo a questa malattia che ha causato nel Novecento diverse epidemie in tutto il mondo?
L’origine della malattia è batterica e si contrae principalmente dall’ingestione di alimenti o acqua contaminati. Nelle epidemie umani sono implicati due sierogruppi del Vibrio cholera, l’O1 e l’O139. Una volta ingerito, il batterio invade l’intestino e rilascia una tossina che aderisce alle cellule dell’epitelio modificando la loro capacità di assorbimento dell’acqua.
Fra le conseguenze del colera in effetti abbiamo forti stati di disidratazione ma anche, come dicevamo in precedenza, dolori addominali e forte diarrea, il tutto associato a vomito e riduzione rapida del peso corporeo.
Il paziente che ne è affetto può perdere fino a 1 litro di feci liquide all’ora, è chiaro quindi capire come la disidratazione sia la cosa più grave associata alla malattia e da tenere sotto osservazione. Nei casi più gravi questa può anche portare a crampi muscolari, anuria e collasso cardiocircolatorio. Insomma nonostante l’avanzata strumentazione tecnologica di cui oggi disponiamo, che ci consente di dare una migliore risposta ai casi di colera rispetto a 50 anni fa, bisogna comunque identificare i casi tempestivamente e procedere con l’adeguata terapia.
I cibi che più possono trasmetterlo sono molluschi, contaminati direttamente o indirettamente da residui fecali di individui malati, convalescenti o portatori sani. E poi ovviamente l’acqua, ambiente dove il batterio può sopravvivere per settimane. Parliamo anche di quella destinata all’irrigazione dei campi, che in questo modo contamina i prodotti ortofrutticoli.
Inoltre, i vibrioni del colera resistono all’ambiente esterno e possono sopravvivere nelle acque superficiali di ruscelli e fiumi, ma raggiungere anche il mare. Ecco perché il veicolo più importante di trasmissione è proprio il pesce ma più in generale i prodotti ittici, in particolare se consumati poco cotti o crudi.
Ancora, nelle aree endemiche si può contrarre il colera in diversi modi, come vere bibite con ghiaccio o acqua imbottigliata senza i giusti controlli. Importante anche l’igiene personale, pratica personale che abbiamo imparato molto bene nei mesi in cui la pandemia da Covid era più acuta.
Insomma, abbiamo dato dei consigli generali ma ovviamente al sopraggiungere di sintomi che facciano anche solo sospettare di questa patologia, la regola è quella di andare in ospedale perché l’isolamento è estremamente importante e obbligatorio per legge. Poi l’iter prevede la comunicazione all’Asl territoriale per i dovuti accertamenti.
Il colera può essere trattato e curato con terapie a base di farmaci antibiotici, non è più mortale come in passato. Il caso di oggi, in cui il paziente è stato stabilizzato e sta migliorando dopo sole poche ore, ci da un’idea di come sia importante non sottovalutarlo sia per sé stessi che per gli altri.
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