Parliamo oggi del caso di Molly Russell, la 14enne che si tolse la vita a causa della cattiva influenza dei social.
Il caso ricorda quello analogo che avvenne in Italia nel 2013, quando Carolina Picchio, della stessa età, si lanciò dalla finestra di casa dopo essere stata vittima di cyberbullismo.
Possiamo considerare il cyberbullismo davvero come una delle più grandi piaghe della nostra società e la famiglia Russell ne sa qualcosa.
La giovane Molly infatti, di 14 anni, si uccise nel 2017 proprio per la cattiva influenza dei social anche se in questo caso non si è trattato di bullismo, come quello che portò alla morte di Carolina Picchio.
Quest’ultima, originaria di Novara, si uccise perché era stata attaccata duramente sul web, invece Molly soffriva di una forte depressione e questa condizione è stata esasperata da contenuti social sbagliati.
In particolare, Molly è venuta a contatto con post che incitavano all’autolesionismo, fra cui immagini molto forti che proponevano sfide varie che riguardavano non solo il ferirsi fisicamente ma anche il togliersi la vita.
È una trama a cui purtroppo non siamo nuovi e fin dalla terribile morte della 14enne, il padre si batte per promuovere l’educazione digitale, nonché l’innalzamento dei limiti di età per iscriversi e usare i social.
Non si dà pace Ian Russell, che ha perso la figlia in circostanze davvero tragiche ma ha deciso da quel momento di cambiare lo scopo della sua vita e dedicarsi completamente ad educare i giovani in merito ai contenuti digitali.
Molly si tolse la vita dopo aver visto su Instagram alcune foto che parlavano di suicidio, depressione e autolesionismo. Dopo la morte della ragazza, raccolse questo materiale e accusò, con un servizio alla BBC, il social.
Secondo Ian, Instagram era responsabile in modo parziale di quanto era avvenuto alla figlia, poiché avrebbe dovuto regolarizzare i contenuti che vengono immessi in rete.
Grande sostenitore di un utilizzo sano di Internet, l’uomo si batte da quel tragico 2017 per ‘ripulire’ il mondo dei social dal marcio che purtroppo entra in contatto con i ragazzi e può portarli alla morte.
Ian ha analizzato attentamente in questi anni il mondo dei social e ha denunciato una situazione molto pericolosa in cui da una parte ci sono gruppi che aiutano a uscire dalla depressione ma altri istigano al suicidio.
La sua battaglia ha prodotto i primi risultati, infatti il social accolse il suo appello e rimosse dalle proprie pagine le fotografie incriminate, ora, sotto la spinta di una campagna sempre più martellante, Instagram ha deciso di rimuovere ogni elementi che possa istigare i giovani al suicidio.
Parliamo non solo di foto ma anche meme, cartoon e disegni vari che richiamano a problematiche importanti come disordini alimentari, condizioni fisiche, autolesionismo e depressione.
La regolarizzazione dei contenuti sensibili sui social è il tema che sta a cuore non solo a Ian ma anche a tantissimi altri genitori preoccupati ma soprattutto a quelli che hanno vissuto un’esperienza simile.
Come Molly infatti, ci sono tantissimi altri giovanissimi che commettono atti simili. Una è Carolina Picchio, che qualche anno prima alla morte di Molly, si lanciò dalla finestra della sua casa di Novara e anche in questo caso, il padre si fa promotore dell’argomento delicatissimo dell’educazione digitale.
Nel caso di Carolina, la ragazza era stata presa di mira dai coetanei in seguito a una festa dove aveva bevuto troppo. Questi avevano diffuso online un video in cui mimavano degli atti sessuali sul suo corpo.
In seguito venne tempestata di messaggi denigratori e finì col togliersi la vita. Paolo Picchio, il padre della 14enne, creò una fondazione in memoria di Carolina e come Ian si batterà fin quando le cose non cambieranno.
Ma la vera notizia in merito a queste morti assurde è il raggiungimento di una sentenza storica in Gran Bretagna, il paese dove appunto è morta Molly Russell.
I giudici hanno infatti stabilito che i social sono fra le cause che hanno portato la ragazza a togliersi la vita.
Il coroner ha evidenziato come Instagram e Pinterest, altro social molto frequentato dalla vittima e con contenuti ambigui anch’esso, siano fra le cause del suicidio.
“È una grande conquista ma un passo piccolo per una società migliore. non è normale che una ragazza si tolga la vita a 14 anni e mi batterò perché questo non accada più”.
Queste le parole di Ian, che ribadisce il concetto di Paolo Picchio secondo il quale l’educazione digitale riguarda sempre di più la salute mentale dei nostri giovani.
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