Antonio Logli ha ucciso la moglie Roberta Ragusa e ha distrutto il suo cadavere. Questa è stata la sentenza definitiva emessa il 10 luglio del 2019 dai giudici di Piazza Cavour.
Antonio Logli, 49 all’epoca dei fatti, è dunque considerato il responsabile della scomparsa di Roberta Ragusa, che di anni ne aveva 44. È stato lui ad ammazzare la donna, moglie e madre dei suoi figli, e ad occultarne il cadavere. Che, dopo undici anni, non è mai stato ritrovato. L’omicidio si sarebbe consumato perché Roberta aveva scoperto la relazione del marito con l’amica e segretaria dell’autoscuola di proprietà di famiglia, Sara Calzolaio. Così, in quel giorno di metà luglio di quasi quattro anni fa, i carabinieri di San Giuliano Terme hanno bussato alla porta del bed and breakfast in cui alloggiava l’uomo con la compagna Sara e la figlia Alessia. Per Logli si sono così aperte definitivamente le porte del carcere di Livorno, di fronte all’incredulità dei figli che hanno sempre creduto nella sua innocenza.
La notte tra il 13 ed il 14 gennaio 2012 sparisce da Gello, nel comune di San Giuliano Terme, in Provincia di Pisa, una donna di quarantaquattro anni, una moglie, una mamma. La sua vita diventa un fatto di cronaca: avvistamenti, ricerche, ipotesi, supertestimoni, indagati sembrano cancellare lentamente la sua identità. Lei è Roberta Ragusa, per tutti la donna dagli occhi azzurri come il cielo. A dare la notizia dell’improvvisa scomparsa è il marito Antonio Logli.
Per mesi le segnalazioni inseguono lo sguardo di ghiaccio di Roberta. Alcuni sembrano riconoscerla in una paninoteca nel centro di Pisa, altri in un’area di servizio della Firenze-Peretola. C’è chi la segnala in un aeroporto di Miami, chi la vede bere un cappuccino in un bar di Ghezzano o salire su un’auto insieme ad un uomo all’autogrill di Pontedera. La riconoscono a Pietra Ligure, la scorgono, la segnalano. Ma non è lei. Non è mai lei. La personalità ed il carattere da donna di altri tempi che la contraddistinguevano ha convinto subito l’opinione pubblica. Non avrebbe mai potuto andarsene di sua volontà. È seria Roberta, la sua vita si svolgeva tutta all’interno della sua villetta nel comune di San Giuliano Terme, nel quale viveva con il marito, Antonio Logli, ed i due figli, Alessia e Daniele. È questa la vita che aveva scelto, una vita fatta di pezzi del puzzle perfettamente inseriti al loro posto. Almeno secondo quanto ricostruito negli anni di indagine. Secondo l’accusa, però, pochi mesi prima della sua scomparsa, una tessera di quel puzzle si era persa. La donna aveva infatti iniziato a sospettare che il marito la tradisse.
Nell’immediatezza della scomparsa, sarà lo stesso Antonio a rivelare agli inquirenti di avere una relazione con un’altra donna da sette anni. Lei è Sara Calzolaio, lavora nell’autoscuola di famiglia e fa la baby-sitter dei figli di Roberta. Così, inevitabilmente, Antonio Logli, il padre e Sara Calzolaio, venivano iscritti nel registro degli indagati da parte della Procura di Pisa. Tutti con un’unica accusa: omicidio volontario, occultamento e distruzione di cadavere.
Per mesi sono state cercate le tracce di Roberta, ma le indagini sembravano avvitarsi sempre su sé stesse. Si è così scavato nella vita della giovane donna di Gello, che pochi giorni prima della scomparsa era caduta dalla scala della sua soffitta rimanendo talmente turbata da avanzare alle amiche il sospetto che fosse stato proprio Antonio a spingerla giù. Lo stesso Logli racconterà di questa caduta agli inquirenti suggerendo un ipotetico stato confusionale della moglie. Nonostante sia mancato qualunque riscontro circa il tentato omicidio, quella caduta dalla scala ha avuto un notevole valore probatorio nei tre gradi di giudizio.
Antonio Logli non ha mai modificato la propria versione dei fatti: la notte della scomparsa di Roberta lui era andato a dormire prima di lei. Ed il mattino dopo, quello del 14 gennaio, Roberta non c’era già più. Gli ultimi occhi che la incontrano sarebbero proprio quelli della figlia che ha riferito di averla vista in cucina scrivere la lista della spesa.
Nove mesi dopo la scomparsa, nella vicenda si è inserito Loris Gozi, supertestimone pluripregiudicato, che ha raccontato di aver visto la notte della scomparsa un uomo e una donna litigare in prossimità dell’abitazione dei Logli. Mai riconoscerà Roberta Ragusa, ma identificherà Logli. Dopo un proscioglimento intervenuto in sede di udienza preliminare, in primo grado e in appello, Logli è stato condannato a vent’anni di reclusione per omicidio volontario e distruzione di cadavere, dopo la scelta del rito abbreviato. Prima della pronuncia definitiva, in carcere Logli non era mai entrato. Al contrario, era gravato da un mero obbligo di dimora.
Un anno e mezzo dopo la condanna definitiva, chi scrive ha assunto il mandato come consulente tecnico di parte con l’obiettivo di promuovere il procedimento di revisione. Sono stati anni difficili per il team difensivo, cambiato più volte. Il 5 dicembre, in Corte d’Appello a Genova, si è discussa l’istanza di revisione. Dichiarata però inammissibile il 20 dicembre. Con non poche remore e sofferenze, martedì 10 gennaio ho lasciato l’incarico conferitomi da Antonio Logli. Difficoltà interne e inconciliabili posizioni con l’attuale legale del condannato, ho deciso di chiudere la parentesi lavorativa. Ma resta ferma la convinzione che Antonio Logli è un uomo condannato senza nessun tipo di prova.
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