[didascalia fornitore=”ansa”]Carles Puigdemont[/didascalia]
Barcellona alle prese con le prime conseguenze dell’indipendenza della Catalogna dopo che la Procura generale ha formalmente accusato Carles Puigdemont e altri membri del governo di ribellione, sedizione e malversazione. La decisione, annunciata dal Procuratore generale dello stato José Manuel Maza come “urgente”, tocca l’ex presidente catalano, quattordici membri del governo e altri parlamentari di Junts pel Sí per un totale di venti imputati con il rischio reale del carcere. Al momento, Puigdemont e cinque membri del governo si trovano a Bruxelles, in Belgio, ufficialmente per un incontro con i partiti fiamminghi, anche se le notizie parlano di una richiesta di asilo politico già nell’aria dopo la denuncia della Procura. Cosa rischiano i leader indipendentisti?
A distanza di pochi giorni dalla dichiarazione unilaterale d’indipendenza della Catalogna, la situazione è in piena evoluzione. Il braccio di ferro tra indipendentisti e il governo centrale non è durato molto: l’applicazione immediata dell’articolo 155 da parte del governo di Mariano Rajoy ha riportato il sogno dell’indipendenza alla realtà della legge e della Costituzione spagnola. Alle parole dure del premier spagnolo, che ha chiuso ogni spazio di dialogo, sono seguite azioni altrettanto decise.
Le conseguenze dell’articolo 155 in Catalogna
Come annunciato e minacciato più volte prima e dopo il voto del referendum, Madrid ha applicato l’articolo 155 della Costituzione spagnola a seguito della dichiarazione unilaterale d’indipendenza della Catalogna. Le conseguenze sono state tante e decisive.
[npleggi id=”https://www.nanopress.it/mondo/2017/10/13/articolo-155-costituzione-spagnola-cos-e-e-cosa-c-entra-con-l-indipendenza-della-catalogna/187881/” testo=”Cos’è e cosa dice l’articolo 155 della Costituzione spagnola”]
Il governo de la Generalitat è stato commissariato e Puigdemont destituito, Rajoy ha assunto la carica di presidente della Catalogna e ha scelto Soraya Saenz de Santamaria, nota anche come “la dama de hierro”, la dama di ferro, come sua vice al posto dell’indipendentista Oriol Junqueras, artefice della linea dura per l’indipendenza, e ha indetto nuove elezioni per il 21 dicembre, sciogliendo anche il Parlamento. In più, è stato destituito anche il maggiore Josep Luis Trapero, comandante dei Mossos d’Esquadra che sono passati sotto il controllo del governo centrale.
A distanza di tre giorni dal voto del Parlament che ha dato il via libera alla dichiarazione d’indipendenza, Barcellona ha visto annullata la sua autonomia ed è passata sotto il diretto controllo del governo centrale.
Le accuse ai leader catalani: cosa rischiano
A rendere il quadro ancora più complesso è arrivata l’accusa formale della Procura generale di ribellione, sedizione e malversazione per venti leader indipendentisti, a partire dall’ex presidente Puigdemont e 14 membri del governo, a cui si aggiungono cinque parlamentari catalani per un totale di venti persone incriminate.
Come anticipato, la lista degli accusati comprende, oltre all’ex presidente, 14 membri del governo catalano: Oriol Junqueras (vicepresidente de la Generalitat), Jordi Turull, (consigliere della Presidenza), Raül Romeva (Affari internazionali), Antoni Comín (Salute), Josep Rull (Territorio e sostenibilità e unico a essersi presentato al lavoro), Dolors Bassa (Lavoro), Meritxell Borràs (Pubblica amministrazione), Clara Ponsatí (Educazione), Joaquim Forn (Interni), Lluís Puig (Cultura), Carles Mundó (Giustizia), Santiago Vila (Impresa e commercio) e Meritxell Serret (Agricoltura). Tra i cinque parlamentari accusati spicca il nome di Carme Forcadell, presidente del parlamento catalano, accanto ad altri parlamentari membri del gruppo parlamentare Junts pel Sí.
Le accuse sono tre: ribellione, sedizione e malversazione. Per loro la Procura non ha chiesto il carcere preventivo ma i giudici della Audiencia e la Corte Suprema hanno imposto una cauzione totale di 6,2 milioni di euro per coprire le responsabilità civili che potrebbero derivare dalla loro condanna. La stampa spagnola ricorda che si tratta della stessa cifra che, secondo la Corte Costituzionale, sarebbe stata usata per organizzare il referendum del 1° ottobre, definito illegale dalla stessa Corte.
I leader indipendentisti catalani rischiano davvero grosso: solo per il reato di ribellione, il più grave contestato, l’accusa potrebbe chiedere fino a un massimo di 30 anni di carcere.
L’accusa di ribellione e l’uso della violenza
La stampa e gli osservatori stanno dibattendo sull’accusa di ribellione, capo particolarmente pesante e previsto dalla Costituzione spagnola e dal codice penale quando è accompagnato dall’uso o la minaccia dell’uso della forza.
Secondo il procuratore generale, quanto successo in Catalogna dopo il referendum rientra nel reato perché la dichiarazione di indipendenza avrebbe supposto “l’uso potenziale della forza armata contro chi avrebbe voluto far rispettare la Costituzione spagnola in Catalogna”, ricordando che “il Corpo armato (i Mossos d’Esquadra ndr) contano 17mila effettivi armati”.
Nelle accuse, la Procura ricorda “l’effetto potenzialmente intimidatorio” delle dichiarazioni dell’ex responsabile degli Interni catalano, Joaquim Forn, in merito a possibili scontri tra Mossos e Guardia Civil, arrivata in massa in Catalogna nei giorni del referendum e successivi. “Se c’è la buona volontà e si accetta la nuova realtà politica, non ci sarà alcuno scontro tra Polizie”, aveva detto. Parole che, per l’accusa, oggi suonano come la minaccia dell’uso della violenza.
Nella sua relazione, il Procuratore ha poi aggiunto che la violenza “non necessita di armi o di azioni violente”, e che, anche dovesse cadere l’accusa di ribellione, rimangono quelle di sedizione e malversazione. Quest’ultimo reato finanziario, punibile con il carcere, sarebbe dovuto all’uso indebito di fondi pubblici per organizzare il referendum, dichiarato illegale, aggiungendo anche il reato di appropriazione indebita di soldi pubblici.