Ci risiamo. Ci ritroviamo, e mi ritrovo, per l’ennesima volta a scrivere e commentare un fatto di sangue che ha come vittima una donna in quanto donna. Uccisa dalla furia omicida dell’ex. Un ex che, ancora una volta, si è nascosto dietro l’incapacità di accettare la fine di una relazione. Amori malati, relazioni tossiche. Modelli patriarcali ed evidente incapacità del sistema di bloccare la violenza di genere. Le donne devono imparare a salvarsi da sole? Se lo staranno chiedendo in tanti. Almeno credo.
Il femminicidio si è consumato ieri, domenica 13 agosto, quando Celin Frei Matzhol, di appena ventuno anni, è stata ritrovata senza vita nell’appartamento di un uomo di ventotto anni, Omer Cim, a Bolzano. La scomparsa della ragazza era stata segnalata dai suoi genitori dopo aver notato la sua assenza da casa da circa ventiquattro ore. Le forze dell’ordine si sono recate immediatamente a casa dell’ex fidanzato, non ancora trentenne. Dove hanno fatto una scioccante scoperta: Celin era distesa sul pavimento, priva di vita. Ed il suo corpo mostrava i segni della mattanza. Uccisa a colpi di coltello. Un coltello che è stato abbandonato dall’assassino nella stessa abitazione. Di quest’ultimo, però, nessuna traccia. Difatti, il ventottenne era già in fuga verso l’Austria. Una fuga che è durata poco. Il giovane è stato infatti bloccato, dopo che il suo veicolo è stato localizzato dall’elicottero della guardia di finanza, nei pressi del Lago di Resia mentre tentava di fuggire a bordo della sua auto. Un carabiniere lo ha intercettato sparando proprio contro le ruote della sua vettura. Omer Cim è stato fermato con l’accusa di omicidio volontario. Al momento, però, quest’ultimo non ha rilasciato dichiarazioni.
L’autopsia sul corpo di Celin Frei Matzhol è prevista per mercoledì 16 agosto. Ma i dettagli che stanno emergendo sono agghiaccianti. I due si erano lasciati da poco tempo e Celin raccontava di essere rinata. Non ne poteva più. Tanto da aver pianificato una colazione con gli amici per celebrare la fine di quella relazione malata.
Tuttavia, come da copione, Omer non aveva accettato la separazione. E l’ha uccisa. Forse, anche in questo caso, dopo l’ultimo appuntamento. Un appuntamento al quale non si dovrebbe andare mai. Perché, quasi sempre, non se ne esce vive.
Ad aggravare ulteriormente il quadro, secondo alcune indiscrezioni delle ultime ore, c’è il dettaglio agghiacciante per il quale l’uomo si sarebbe addirittura licenziato dall’hotel dove lavorava per l’ex fidanzata. Il motivo? Semplice. Quello di pedinarla.
Anche dietro la morte di Celin si cela lo stesso copione sanguinario. Forse, al giorno d’oggi, fin troppo inflazionato. Quando una donna, più o meno giovane, si assume il sacrosanto diritto di chiudere una relazione, deve mettere in conto che quella scelta potrà costarle la vita. Questo, almeno, è quello che si apprende dai giornali e dalla cronaca nera. Che, però, purtroppo non si discostano troppo dalla realtà. Abbiamo a che fare con soggetti, di qualsiasi fascia d’età, incapaci di raffrontarsi con il rifiuto e l’abbandono. “Uomini”, o presunti tali, che uccidono perché percepiscono la fine di una relazione come un atto ingiusto ed ingiustificato di lesa maestà nei loro riguardi. Un radicale affronto al proprio “Io” e alla percezione del “Se”. Soggetti con evidenti questioni interiori irrisolte. Incapaci di raffrontarsi e rapportarsi con le proprie fragilità e debolezze. Totalmente incompetenti di fronte alla necessità di far fronte all’emotività e al senso di frustrazione dai quali sono pervasi. Per queste ragioni, di fronte all’esigenza di dover in qualche modo sopperire al danno della perdita, decidono che l’unica strada percorribile sia quella di eliminare la fonte della loro infelicità: la donna. Quella donna che hanno sempre creduto essere in loro possesso e sulla quale hanno riversato per periodi più o meno lunghi tutto il loro potere e tutto il loro controllo.
Solo qualche settimana fa a Cologno Monzese è andato in scena un epilogo analogo. In quell’occasione è toccato a Sofia Castelli essere uccisa dall’ex fidanzato. Anche lei aveva solo vent’anni.
Si registra davvero un nuovo sanguinario andamento della violenza di genere? Purtroppo, i fatti di cronaca non smentiscono questo dato. Da tale angolo di visuale, nella lotta contro la violenza di genere, una sfida cruciale è dunque quella di contrastare la sottovalutazione del rischio. Sempre più frequentemente, infatti, le situazioni potenzialmente pericolose vengono ignorate, minimizzate o non riconosciute, lasciando le vittime vulnerabili e senza supporto. E il motivo non è così difficile da comprendere. Alla base, in verità, c’è il modo di ragionare in termini di affettività e non di pericolosità. Difatti, se per una donna matura e consapevole è difficilissimo riconoscere certi segnali, provate ad immaginare quanto lo possa essere per una ragazza che inizia ad affacciarsi nella vita relazionale e di coppia. L’inesperienza, quindi, induce quasi in maniera fisiologica a minimizzare o negare la possibilità che un ex fidanzato o un ex partner possa diventare violento. E di diventarlo al punto di uccidere.
Tutto ciò, unitamente alla mancanza di consapevolezza, impedisce alle donne, a maggior ragione se più giovani, di valutare correttamente la situazione. Tuttavia, non mancano i casi nei quali queste ultime possono anche sentirsi indecise su come reagire, temendo di essere giudicate o di provocare ulteriori problemi. Non sapendo, però, che molto spesso rischiano di pagare con la vita quelle loro stesse decisioni. Del resto, l’inesperienza le porta a pensare che il loro compagno, o ex compagno, possa cambiare. Tornare la persona che era quando l’hanno conosciuta. Ma, come anticipato, l’eccessiva fiducia nella capacità di influenzare la situazione può distorcere la percezione del rischio reale e ritardare l’adozione di misure protettive. Con le conseguenze sanguinarie ogni giorno esibite dalla cronaca nera.
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