Il 28 ottobre del 1922 partiva la Marcia su Roma, durante la quale migliaia di fascisti partirono alla volta della capitale per prendere con la forza il potere. Il loro scopo era quello di mettere in scena un colpo di Stato che avrebbe poi permesso a Benito Mussolini di salire al comando in Italia e oggi, 100 anni dopo, non possiamo dimenticare nulla di ciò che è accaduto durante e dopo.
Dal 28 al 31 ottobre del 1922 si tenne l’ormai famosissima Marcia su Roma: il 30 ottobre, Mussolini fu incaricato dall’allora re di formare un nuovo governo. Quello che è accaduto dopo è storia (anche se estremamente triste), ma per guardare al presente non possiamo dimenticare il passato.
In questi giorni cade un anniversario, quello della Marcia su Roma, e di discussioni al riguardo ne sono state fatte tantissime. Per capire bene però la genesi e lo svolgimento, dobbiamo fare un tuffo nel passato e tornare con la mente al 1922.
I fatti furono questi: il 28 ottobre di quell’anno, infatti, migliaia di fascisti partirono alla volta di Roma per prendere con la forza il potere. Il loro scopo era quello di mettere in scena un colpo di Stato per permettere a Benito Mussolini di salire al comando in Italia. Il 30 ottobre poi, l’allora re Vittorio Emanuele III incaricò Mussolini di formare un nuovo governo. Ma cos’era accaduto prima?
Già nel triennio precedente alla Marcia – cioè a partire precisamente dal giugno del 1919 – c’era stata puzza di golpe, che avrebbe visto il probabile coinvolgimento del Duce e di Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta. In quel periodo, infatti, associazioni nazionalistiche e di reparti del Regio Esercito occuparono la città di Fiume. Da lì prese vita la cosiddetta “impresa di Fiume”, che terminò poi solo nel dicembre del 1920 ed era finalizzata ad annettere la città all’Italia.
L'”intoppo” però (se così si può chiamare) fu questo: durante le elezioni politiche del 1919 vinsero le liste socialiste e questo fece sfumare ogni speranza di trovare accordi politici per la formazione di un governo. Non a caso, nell’ottobre del 1920, iniziarono a girare nuove voci su un possibile colpo di Stato sempre con base a Fiume, ma alla fine dello stesso anno l’impresa nella città terminò e fu ratificato il trattato di Rapallo, con cui sostanzialmente furono annesse al Regno d’Italia Gorizia, Trieste, Pola e Zara: entrambi questi avvenimento buttarono abbastanza acqua sul fuoco da far placare gli animi, almeno momentaneamente.
Ma c’è da dire che il 1919 e il 1920 furono anni segnati anche da molteplici rivolte popolari, nate in seguito alla fine della Prima Guerra Mondiale, che aveva lasciato una scia di povertà e malcontento in tutta l’Italia. In questo caos, si inserirono le squadre fasciste, che iniziarono a colpire violentemente le nuove amministrazioni socialiste. Emblematica fu quella che ancora oggi è conosciuta come la strage di Bologna: era il 21 novembre del 1920 quando un gruppo di squadristi fascisti attaccò la folla che si era riunita in Piazza Maggiore – quindi in pieno centro – per celebrare l’insediamento della nuova giunta comunale presieduta dal socialista massimalista Enio Gnudi.
Quelle azioni misero il governo di trovarsi con le spalle al muro costringendolo a sciogliere l’amministrazione comunale, per sostituirla con un commissario favorevole al governo stesso. Al contempo, poi venivano attaccate anche le Camere del Lavoro, così da portare gli iscritti a fare un passo indietro e indebolirle di conseguenza.
Arriviamo così all’inizio del 1921: già tra gennaio e febbraio le violenze da parte dei gruppi fascisti iniziarono a crescere a dismisura. Il culmine arrivò però solo a maggio, durante le elezioni: qui si iniziò anche a sottolineare il ruolo fondamentale delle forze dell’ordine in questi episodi così crudi, ma furono i risultati a cambiare tutto. Alla Camera riuscirono a entrare una trentina di fascisti tramite liste dei Blocchi nazionali e proprio loro il 13 giugno di quell’anno aggredirono il deputato Francesco Misiano, che aveva disertato durante la Prima guerra mondiale.
Ma non finì neanche qui, perché tra giugno e luglio di quello stesso anno i casi di violenze in aula furono molteplici: a essere colpiti furono anche diversi deputati, come Claudio Treves e Giuseppe Di Vagno, che addirittura perse la vita.
Fu però l’anno successivo, il 1922 a cambiare completamente le carte in tavola: gli episodi di violenza continuarono ad aumentare sempre di più e ormai i gruppi fascisti sembravano inarrestabili nel vero senso della parola. Così in estate, dopo una serie di episodi assai cruenti – l’occupazione verso la fine di luglio di Ravenna durante lo sciopero dell’Alleanza del Lavoro da parte delle squadre di Italo Balbo, per esempio – si arrivò ad una conclusione drastica. Il re Vittorio Emanuele III, per cercare di placare gli animi, affidò nuovamente l’incarico a Facta per formare un nuovo governo.
Questo non bastò comunque, dato che in quei giorni i fascisti a Milano distrussero la sede dell’Avanti! e occuparono il palazzo comunale. In quelle occasioni Aldo Finzi dichiarò apertamente che la loro intenzione era quella di uccidere i nemici del fascismo. Ormai la situazione era quindi ingestibile per tutti.
Così tra il 5 e il 6 agosto i prefetti di Ancona, Brescia, Genova, Livorno, Milano e Parma furono costretti a cedere il potere alle autorità militari, dato che quello era l’unico modo per tornare a una “normalità”.
Sempre il 6 agosto, poi, il governo emanò un comunicato ufficiale, che diffuse a tutti i cittadini “perché cessino dai contrasti sanguinosi e gli spiriti si elevino a un sentimento di solidarietà patriottica e umana”. Tra l’8 e il 9 agosto, poi, ci fu la discussione per la fiducia del nuovo governo, ma i deputati fascisti non cessarono le loro minacce: alla fine il governo ottenne la fiducia con 247 voti favorevoli e 122 contrari. C’è da dire che in quei giorni stava prendendo piede un’ipotesi: quella che ci sarebbe stato di lì a breve un nuovo colpo di stato e che si sarebbe instaurata in Italia la dittatura fascista.
Fu però solo ad ottobre che iniziarono i preparativi per la marcia su Roma. A partire dal 16 di quel mese, infatti, ci furono una serie di riunioni a Milano che vedevano la presenza di Mussolini, Balbo, Bianchi, De Bono, De Vecchi e poi di Gustavo Fara, Sante Ceccherini, Ulisse Igliori e Attilio Teruzzi. Quello che volevano fare era occupare innanzitutto alcune città nel Centro e nel Sud dell’Italia per evitare che potessero inviare truppe, mentre le squadre del Centro-Nord avrebbero condotto le operazioni.
La Marcia prevedeva sostanzialmente 5 punti:
Arriviamo così al 24 ottobre 1922: quello fu il giorno dell’inizio del famigerato congresso fascista tenutosi a Napoli. A sopraggiungere sul luogo furono circa 15mila persone (anche se c’è chi parla addirittura di 40mila presenze). Quella, in ogni caso, fu una prova di forza contro lo Stato. Quello stesso pomeriggio Mussolini arrivò a dire: “O ci daranno il governo o ce lo piglieremo noi calando su Roma”, ma nonostante ciò, quella stessa sera, Facta scrisse al re dicendo che per lui il progetto della marcia su Roma poteva considerarsi tramontato, ma che avrebbe comunque voluto conservare massima vigilanza. Solo un paio di giorni dopo, però, inviò telegrammi ai prefetti e ai comandanti militari per avvisarli che diverse fonti avevano parlato di attività insurrezionali.
E infatti dal 27 ottobre cambiò tutto: furono occupate prefetture, uffici di comunicazione e stazioni ferroviarie, ci furono insurrezioni in diverse città di Italia (tra cui Siena e Pisa), ci furono anche diversi scontri armati a Cremona che causarono la morte di diverse persone e furono occupate tantissime città del Nord Italia (tra cui Gorizia, Pavia, Rovigo e tante altre).
Quella stessa sera, dicevamo, Facta presentò al re le dimissioni del suo governo. Ormai vi era un vero e proprio stadio d’assedio, che aveva costretto tutto il Paese a fermarsi letteralmente. Questo fece sì che il 28 ottobre potesse partire quasi del tutto “indisturbata” la Marcia su Roma.
Quel giorno iniziò con un raduno a Foligno, Monterotondo, Santa Marinella e Tivoli: in totale partirono 16mila uomini. Intorno alle 9 fu presentato il decreto per lo stato d’assedio al re, che però si rifiutò di firmarlo. Verso mezzogiorno poi il governo inviò un nuovo telegramma ai prefetti, che annullava il precedente. Non essendoci più in vigore alcun decreto, quindi, i fascisti poterono agire senza trovare alcuna opposizione. Quel giorno stesso, poi, nel pomeriggio, il re diede l’incarico ad Antonio Salandra di formare un governo, ma ci pensarono i fascisti a fermare tutto, occupandolo.
E così continuarono ad agire anche il giorno seguente, mentre Mussolini si trovava ancora a Milano, pronto a fuggire in Svizzera qualora qualcosa fosse andato storto. Il 29 ottobre, però, dovette partire per Roma, avendo ricevuto l’incarico dal re per formare il governo. La sera stessa partì e arrivò però solo il mattino seguente. Era quindi il 30 ottobre quando presentò l’elenco dei ministri al re.
Nel frattempo, però, le squadre fasciste avevano raggiunto Roma, e le violenze ancora non erano destinate a fermarsi. La sede socialista in Via Seminario fu letteralmente invasa, l’abitazione dell’onorevole Giuseppe Mingrino fu distrutta, partirono diversi colpi di arma da fuoco in tutta la città.
Le violenze continuarono anche il giorno seguente, il 31 ottobre, come quelle ai danni di Nicola Bombacci, Francesco Saverio Nitti ed Elia Musatti. In ogni caso, quel pomeriggio si svolse la sfilata dei fascisti all’Altare della Patria e al Quirinale: una serie di cittadini sfilò davanti al Re e al Presidente del Consiglio appena nominato, portando con loro armi detenute illegalmente. In ogni caso, Mussolini ormai era al potere e quello che è accaduto dopo ha scritto una tristissima pagina della storia dell’Italia e dell’umanità.
Oggi sono trascorsi esattamente 100 anni dalla Marcia su Roma, ma pare che alcune persone non abbiano dimenticato del tutto quello che accadde, in tutti i sensi. Basti pensare che a Paternò, in provincia di Catania, sono comparsi dei manifesti anonimi, con scritte due 2 date (28 ottobre 1922 – 28 ottobre 2022) e la dicitura: “Un popolo in marcia”.
Ovviamente questo fatto ha indignato tantissime persone, tra cui soprattutto alcuni esponenti del Partito democratico, che hanno invitato il sindaco a prendere tempestivi provvedimenti, di Fratelli d’Italia, che hanno chiesto che venga fatta chiarezza, perché restare in silenzio significherebbe alimentare la spirale di odio e ignoranza.
Nel frattempo l’amministrazione comunale di Paternò ha fatto sapere che provvederà tempestivamente a rimuovere tutti i manifesti, ma ormai il danno è fatto e si dovranno trovare comunque i responsabili.
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