L’estradizione di Cesare Battisti in Italia potrebbe essere vicina. Secondo quanto riporta il quotidiano locale Jornal, il presidente Michel Temer sarebbe pronto a revocargli lo status di rifugiato politico, concesso dall’ex presidente Inacio Lula da Silva, e a sospendere il permesso di soggiorno, cosa che renderebbe immediata la sua espulsione. L’ultima parola spetta al Tribunale Superiore federale (TSF) che deve decidere sull’habeas corpus richiesto dalla difesa dell’ex terrorista da tempo e reiterato dopo l’arresto dello scorso 5 ottobre. La decisione finale spetterà a Luiz Fox, il giudice incaricato del dossier Battisti. L’accelerazione nelle trattative per estradare Cesare Battisti in Italia è arrivata grazie all’azione del governo italiano e al cambio d’esecutivo in Brasile: la difesa dell’ex terrorista, condannato in contumacia all’ergastolo per 4 omicidi, insiste nel dire che non potrà essere estradato, ma dopo anni, qualcosa si è mosso.
La vicenda di Cesare Battisti e la sua mancata estradizione in Italia dal Brasile, dopo anni di fuga in Francia, è una delle pagine più nere della recente storia italiana. Membro dei Pac (Proletari Armati per il Comunismo) e autore di 4 omicidi, come ha stabilito la giustizia italiana in tutti i processi a suo carico e in tutti i gradi di giudizio, Battisti non ha mai scontato la sua pena, il carcere a vita. Grazie a un clima politico divisivo a seguito della stagione del terrorismo, ha anzi goduto di una sorta di immunità “politica”, passando per un perseguitato.
Condannato in contumacia in tutti i gradi di giudizio all’ergastolo per omicidio e concorso in omicidio, con sentenza passate in giudicato, Battisti ha vissuto prima a Parigi, trasferendosi in Messico e poi in Brasile, dove ha ricevuto lo status di rifugiato politico nel 2011. Oggi vive da uomo libero nel paese sudamericano dedicandosi alla scrittura, senza scontare le condanne inflitte dalla magistratura italiana.
Chi è Cesare Battisti
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Nato a Cisterna di Latina nel 1954, Cesare Battisti cresce in una famiglia con tradizioni comuniste, il che lo porta a interessarsi di politica fin da giovane iscrivendosi alla FIGC, la federazione dei giovani comunisti del PCI, per qualche tempo. Decide però di abbandonare il partito e si avvicina alla malavita, finendo più volte in carcere non ancora maggiorenne per alcune rapine. Nel 1977, compiuti i 18 anni, finisce in prigione a Udine dopo l’ennesima rapina: qui incontra Arrigo Cavallina, tra i fondatori dei PAC, i Proletari Armati per il Comunismo. Entra così a far parte dell’associazione eversiva e continua a compiere rapine, chiamate “espropri proletari”, secondo la dottrina del gruppo.
Uscito dal carcere, si trasferisce a Milano dove continuano le rapine a danni di negozi e attività commerciali. Sono anni di violenza e terrore, dove gruppi terroristici di destra e di sinistra mietono vittime innocenti in nome di un’ideologia malata. Battisti è uno dei protagonisti negativi di quest’epoca buia.
Il “battesimo del fuoco” per lui arriva il 6 giugno 1978, quando ancora non era passato un mese dal ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani. A Udine uccide Antonio Santoro, maresciallo della Polizia Penitenziaria. L’omicidio viene rivendicato dal gruppo sovversivo: a sparare sono stati Battisti e la sua complice, Enrica Migliorati, per vendicarsi del poliziotto, accusato di aver maltrattato i detenuti.
Nel 1979 Battisti firma come organizzatore e ideatore altri tre omicidi. Il primo avviene a Milano il 16 febbraio quando alle ore 15 viene ucciso Pierluigi Torregiani, un gioielliere. Secondo la rivendicazione del gruppo armato, l’uomo aveva ucciso un rapinatore in una tentata rapina della settimana precedente. Nello scontro a fuoco rimane implicato anche il figlio dell’uomo, Alberto, colpito da uno sparo partito dalla pistola del padre mentre tentava di difendersi, rimanendo paralizzato.
Alle 18 dello stesso giorno, l’azione si sposta a Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia, dove viene freddato Lino Sabbadin, macellaio: anche lui aveva ucciso un rapinatore che era entrato in negozio due mesi prima. Due omicidi molto simili, organizzati come vendetta, e di cui Battisti fu organizzatore, ideatore e, nel secondo caso, anche “copertura armata”.
Il 19 aprile a Milano cade sotto i colpi di pistola l’agente della Digos Andrea Campagna che aveva partecipato agli arresti legati al caso Torregiani: Battisti è l’esecutore materiale dell’omicidio.
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Cesare Battisti viene arrestato nel 1979 nell’ambito di una vasta operazione antiterrorismo e mandato nel carcere di Frosinone da dove segue il processo per la morte di Torregiani e degli altri procedimenti.
Dopo la prima condanna per la morte del gioielliere, nel 1981 riesce a evadere e si rifugia in Francia, vivendo a Parigi per un anno da clandestino. Qui conosce la moglie con cui si trasferisce in Messico e dove nasce la figlia. Durante la permanenza nel paese centroamericano arriva la condanna in contumacia per i quattro omicidi.
Torna a Parigi dove frequenta la comunità di rifugiati italiani che vive nella capitale francese grazie alla dottrina Mitterrand sul diritto d’asilo. Qui continua la carriera di scrittore e traduttore, facendo anche il portinaio in uno stabile, ma nel 2004, grazie all’accordo Castelli-Parben di due anni prima, viene arrestato e le autorità italiane inoltrano la richiesta di estradizione al governo francese.
Il 30 giugno il presidente Jacques Chirac dà il via libera al rientro di Battisti in Italia e l’ex terrorista fugge dalla Francia, facendo perdere le sue tracce.
È il Brasile il paese scelto per l’ennesima fuga che dura poco: nel 2007 viene arrestato al termine di un’operazione congiunta con le forze brasiliane e i reparti speciali italiani. Chiede da subito il riconoscimento dello status di rifugiato politico, rifiutato nel 2008 dal Comitato nazionale per i rifugiati del governo brasiliano. Per questo decide di rivolgersi al ministro della giustizia, Tarso Genro, sapendo che aveva vissuto sulla sua pelle la repressione della dittatura militare e dichiarando che temeva per la sua vita una volta rientrato in Italia: Genro gli concede lo status di rifugiato politico.
La vicenda crea forti tensioni tra Italia e Brasile, tanto che il governo italiano richiama l’ambasciatore: nel 2009 il Tribunale supremo federale dichiara illegittimo lo status di rifugiato politico e con 5 voti su 4 dà il suo va libera all’estradizione, lasciando però al presidente Luiz Inacio Lula da Silva la scelta finale. Lula aspetta l’ultimo giorno del suo mandato, il 31 dicembre 2010 per negare l’estradizione: nel 2011 Battisti viene scarcerato.
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Cesare Battisti si è sempre dichiarato innocente degli omicidi a cui è stato condannato (gli sono stati riconosciuti anche i reati di insurrezione armata, possesso illegale di armi e rapina a mano armata). La sua linea difensiva ha suscitato molto interesse al di fuori dei tribunali e molti intellettuali italiani, francesi e non solo si sono schierati in sua difesa.
Tra i transalpini ricordiamo, Bernard-Henri Lévy, che ha curato la prefazione all’ultimo suo libro “Ma Cavale”), Serge Quadruppani, Daniel Pennac e soprattutto la scrittrice di gialli Fred Vargas che sul caso Battisti ha scritto un libro, inedito in Italia, e lo ha aiutato anche economicamente nei primi anni di latitanza.
Alla base c’è l’idea che i processi siano stati falsati dall’atmosfera di repressione che guidava la lotta al terrorismo. Battisti sarebbe un capro espiatorio, dato in pasto alla giustizia italiana da parte di alcuni pentiti, in particolare Pietro Mutti, membro del PAC, che lo accusò per avere sconti di pena. Incongruenze e forzature, secondo la linea di difesa, amplificate dall’impossibilità di difendersi in prima persona, visto che le condanne sono arrivate in contumacia. Dal Brasile Battisti ha rotto il silenzio e in molte interviste si è dichiarato innocente degli omicidi.
Le prove a suo carico però hanno retto in tutti i gradi di giudizio e in tutti i sette processi a cui è stato sottoposto: è stato condannato in contumacia perché è fuggito dall’Italia. Il fondatore dei PAC e suo mentore di allora, Arrigo Cavallina, condannato a 12 anni per l’ideazione dell’omicidio Santoro, confermò in un’intervista a Oggi del 2012 che Battisti sparò al maresciallo. Nella sua autobiografia “La piccola tenda d’azzurro”, ne parla poco, ma quello che dice è chiaro: “era un malavitosetto romano dall’intelligenza vivace”.
La realtà è che Battisti è stato riconosciuto colpevole di tutti i reati e gli omicidi commessi: per la giustizia italiana è un criminale e un assassino e come tale deve scontare la sua pena.
[didascalia fornitore=”ansa”]La foto segnaletica di Cesare Battisti in Brasile[/didascalia]
Durante gli anni di latitanza in Francia, Cesare Battisti si avvicina al mondo della cultura e della letteratura e inizia la sua carriera di scrittore. Il primo libro viene pubblicato nel 1993 dalla casa editrice Gaillard a Parigi ed è un noir, dal titolo “Travestito da uomo”, edito nello stesso anno anche in Italia dalla Granata Press.
Sono 11 i libri di Cesare Battisti editi in Francia, di cui alcuni vengono pubblicati anche in Italia: si tratta di L’orma rossa (Einaudi, 1999 già edito in Francia col titolo “L’ombre rouge”, Gallimard, Parigi, 1995); L’ultimo sparo. Un “delinquente comune” nella guerriglia italiana, introduzione di Valerio Evangelisti, Derive-Approdi, Roma, 1998 (edito col titolo “Dernières cartouches” per Joelle Losfeld, Parigi, 1998); Avenida Revolución, Nuovi Mondi Media, Ozzano nell’Emilia, 2003 (edito col titolo Avenida Revolución per Rivages, Parigi, 2001); Faccia al muro, DeriveApprodi, Roma, 2012. Il più noto e discusso è L’orma rossa, romanzo in cui Battisti ripercorre la vita degli esuli italiani degli anni di Piombo a Parigi.
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Il caso di Cesare Battisti ha diviso la società italiana. Molti scrittori e intellettuali hanno mostrato solidarietà nei suoi confronti sia durante gli anni del processo sia durante la sua latitanza. In un Paese profondamente diviso come era l’Italia del post terrorismo interno, la sua figura venne spesso paragonata ad altri casi che hanno scosso l’opinione pubblica, come quello di Pietro Valpreda, l’anarchico accusato della strage di piazza Fontana e poi assolto.
Lui stesso si è costruito l’immagine di “guerrigliero che ha fatto la lotta armata negli anni ’70” (sue parole rilasciate in un’intervista nel 2006), un perseguitato dallo Stato italiano per motivi politici.
Le petizioni a suo favore si sono ripetute durante gli anni da parte degli intellettuali francesi, i primi a vedere in Battisti la figura quasi romantica del “rivoluzionario” punito dallo Stato repressivo, ma anche da quelli italiani. L’ultima è datata 2004 ed è stata pubblicata dalla rivista online Carmilla, lanciata da uno dei più grandi amici e sostenitori dell’ex terrorista, lo scrittore Valerio Evangelisti (qui il link all’archivio della rivista): tra i firmatari, oltre all’autore italiano, troviamo Daniel Pennac, Wu Ming, Vauro, Giuseppe Genna, Pino Cacucci e alcuni deputati dell’allora Rifondazione comunista, Giovanni Russo Spena, e Graziella Mascia.
A loro dire, i processi sarebbero stati falsati dal clima di intimidazione che vigeva in quegli anni contro i membri delle organizzazioni terroristiche e che l’essersi svolti in contumacia, cioè in sua assenza, non gli avrebbe dato l’opportunità di difendersi, trasformandolo in un capro espiatorio.
La storia degli anni di Piombo e dei processi relativi è molto complessa, spesso fatta di depistaggi, indagini incomplete, servizi segreti e potenti che hanno voluto insabbiare la verità, ma trasformare Battisti in un perseguitato vittima di uno Stato semi-dittatoriale è eccessivo. Cesare Battisti ha avuto regolari processi, da cui lui stesso è fuggito perché latitante, nell’ambito di un Paese, certo scosso e ferito, ma democratico e civile che ha applicato le sue leggi. Per quelle leggi, Battisti è un assassino.
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Cesare Battisti era stato già arrestato in Brasile. Nel marzo 2015 era stato fermato per mettere un ordine di detenzione amministrativa a fini di espulsione. Si era trattato di un arresto durato poche ore, perché il suo legale brasiliano ha subito presentato ricorso, che è stato accettato immediatamente. Proprio l’avvocato di Battisti ha annunciato un’azione legale contro la giudice federale che aveva decretato la sua espulsione.
Al momento dell’arresto Battisti si trovava insieme alla moglie e alla figlia. Non ha opposto resistenza e non è stato ammanettato. Era stata la giudice federale Adverci Rates a decretare l’espulsione dell’ex terrorista, negandogli l’opportunità di rinnovare il permesso di soggiorno. L’espulsione era stata decisa in collegamento con la vicenda dei documenti falsi di cui Battisti stesso era dotato. Avrebbe dovuto essere espulso verso la Francia o il Messico.
Dal Brasile si era tornati a parlare di Battisti quando, a Brasilia, lo scorso 30 settembre un uomo sequestrò un dipendente dell’albergo Saint Peter, nel centro della capitale, chiedendo tra le altre cose l’estradizione di Battisti in Italia. La vicenda ha riportato l’attenzione sulla storia dell’ex terrorista che scatena ancora oggi grandi polemiche.
[didascalia fornitore=”ansa”]Battisti brinda in aeroporto alla sua liberazione[/didascalia]
Il 5 ottobre 2017 Battisti viene arrestato di nuovo mentre tentava di fuggire in Bolivia al valico di Corumbà-Puerto Suarez, a bordo di un taxi boliviano. Secondo la polizia federale, avrebbe avuto aveva con sé una “quantità significativa in valuta estera” (5mila dollari più l’equivalente di 3mila euro in real), cosa che ha fatto scattare il fermo.
Col fermo, la vicenda di Battisti ritorna sulle pagine dei media italiani e brasiliani. Al sicuro grazie allo status di rifugiato politico concesso dall’ex presidente Lula, l’ex terrorista rosso non si è mai nascosto, anzi. Liberato dopo qualche giorno anche in questa occasione, è tornato nella sua casa sul lungomare di San Paolo, dopo tre giorni di carcere nel Mato Grosso, e si è fatto fotografare mentre brindava con della birra.
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