Come ogni volta che si deve formare un nuovo governo, torna di moda l’espressione giornalistica “manuale Cencelli”. Anche oggi, in un’intervista al Giornale, ne ha parlato Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia e alleato nel centrodestra. Cosa è, però, nel concreto?
Il manuale, di cui non esiste niente di ufficiale, è un modo per ripartire cariche e ruoli politici e di governo in base al peso elettorale di ciascun partito, non tenendo conto della meritocrazia. Ha preso il nome da Massimiliano Cencelli, un funzionario della Democrazia cristiana, che ne ha spiegato la genesi, qualche anno fa, in un’intervista all’Avvenire.
Come in un sillogismo aristotelico, ogni qualvolta in Italia si deve formare una nuova compagine di governo, il manuale Cencelli torna a prendersi un posto da protagonista. Altroché Giorgia Meloni che cerca di sbrogliare la matassa, altroché Matteo Salvini che pretende ministeri, altroché Silvio Berlusconi che vuole avere un peso nell’esecutivo che verrà.
Per carità, gli alleati del centrodestra hanno una fetta piuttosto importante di scena pubblica impegnati come sono a districarsi tra no reali, veti presunti e un tempo che scorre senza essere arrivati a una quadra. Ma, ecco, se questo scenario si può raccontare ora e al prossimo governo potrebbe cambiare del tutto, il manuale Cencelli rimane una certezza sempre quando si sta studiando la squadra che guiderà il Paese per i futuri cinque anni.
Perché l’espressione giornalistica, che questo è, è il modo in cui all’interno di una coalizione, o a volte anche di un partito ci si spartiscono gli incarichi, e si basa su interessi politici o di corrente in base al peso che hanno, anziché sul merito.
Deve il suo nome a Massimiliano Cencelli, ex funzionario della Democrazia cristiana ed ex portaborse di Adolfo Sarti, che ne è stato nel 1968 un po’ per caso, molto per necessità l’ideatore, come ha raccontato in un’intervista all’Avvenire del 2003.
“Nel 1967 Sarti, con Francesco Cossiga e Paolo Emilio Taviani, fondò al congresso di Milano la corrente dei ‘pontieri’, cosiddetta perché doveva fare da ponte fra maggioranza e sinistra. Ottenemmo il 12% e c’era da decidere gli incarichi in direzione. Allora io proposi: se abbiamo il 12%, come nel consiglio di amministrazione di una società gli incarichi vengono divisi in base alle azioni possedute, lo stesso deve avvenire per gli incarichi di partito e di governo in base alle tessere“.
E così fu. La pratica diventò di dominio pubblico perché l’ex ministro, che amava scherzare, “durante le crisi di governo rispondeva sempre ai giornalisti che volevano anticipazioni: ‘Bisogna consultare il manuale Cencelli’“, aveva ricordato ancora.
La definizione, comunque, non deve trarre in inganno dalla complessità del sistema di calcolo dell’ex Dc. Se una corrente, infatti, aveva appunto il 12% e in termini di ministri ne avrebbe dovuto esprimere 2,55, quello 0,55 potevano diventare due sottosegretari o un viceministro. Tra l’altro, c’erano chiaramente dei dicasteri – esattamente come ora – che avevano un peso specifico maggiore di altri.
In un primo momento, per esempio, in fascia A c’erano Interni, Esteri, Tesoro, Finanze e Industria, in fascia B c’era l’istruzione, la Difesa, la Giustizia, la Sanità e via dicendo. I cambiamenti nelle “categorie”, così come i ruoli assegnati, sono stati riassunti dal portaborse in tomi, ma nessun manuale, di fatto, esiste, come ha documentato il giornalista Renato Venditti, in un libro dedicato solo alla sua storia e applicazione.
E quindi difficilmente Meloni potrebbe consultarlo per davvero, questo manuale Cencelli. Anche perché, alla luce del risultato elettorale del 25 settembre, il suo partito, Fratelli d’Italia, dovrebbe avere più del triplo degli scranni, tra ministeri, presidenze, sottosegretari e chi più ne ha più ne metta, rispetto a quelli che in modo proporzionale dovrebbe spettare a Lega e Forza Italia.
Oggi, tra l’altro, in un’intervista al Giornale, il Cavaliere ha specificato che non si utilizzerà, soprattutto perché nel governo che si dovrà formare i ruoli verranno affidati per competenze, quindi per merito, non perché a FdI spettano poco meno del 60% degli incarichi, e al Carroccio e ai suoi il 20%. Eppure, sarebbe stato così semplice, no?
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