Esiste un collirio innovativo made in Italy che grazie alla biotecnologia riesce a trattare la cheratite neurotrofica da moderata a grave. Il farmaco ha trovato mercato in Europa ma non ancora in Italia. Questa nuova opportunità per i pazienti è il risultato di decenni di ricerca, a partire dagli studi del premio Nobel Rita Levi Montalcini che scoprì il ‘nerve growth factor’ (Ngf), una proteina naturalmente prodotta dal corpo umano, responsabile dello sviluppo, del mantenimento e della sopravvivenza delle cellule nervose.
In pratica il principio attivo ‘cenegermin’, realizzato attraverso un processo produttivo biotecnologico originale, è la versione ricombinante del Ngf umano (rhNgf). Lo scorso 15 novembre è stato lanciato in Germania un collirio con questo principio attivo, di cui ci racconta Eugenio Aringhieri, Chief Executive Officer Dompé farmaceutici: “I primi pazienti tedeschi hanno trovato rimedio al proprio problema, fino ad oggi orfano di cura. Questo ci riempie di gioia e soddisfazione. Dobbiamo da una parte essere orgogliosi, e dall’altra partire da qui per continuare a sviluppare le potenzialità di questo prodotto, che sono sicuramente tante”.
Ma in Italia ancora non è possibile il trattamento della cheratite neurotrofica con questo nuovo collirio, approvato dall’Agenzia europea per i medicinali lo scorso luglio. “Aspettiamo un segno dell’Aifa, così da poter garantire l’accesso ai pazienti italiani a questo prodotto, che rappresenta un rimedio per una patologia rara e particolarmente invalidante come la cheratite neurotrofica che, fino ad oggi, non si era riusciti a risolvere. La valutazione tecnico-scientifica è stata fatta. Adesso stiamo aspettando la data per poter discutere nel Comitato prezzi il rimborso del farmaco. Spero che a breve si possa offrire a tutti i pazienti del nostro Paese questa possibilità di cura”. E’ questo l’auspicio di Aringhieri diffuso al 97esimo Congresso Soi – Società oftalmologica italiana che si è tenuto a Roma.
Ci troviamo davanti a un punto di svolta per una malattia rara che può portare alla perdita di visione e che colpisce meno di 5 persone su 10.000. Spiega Leonardo Mastropasqua, direttore del centro nazionale di alta tecnologia in oftalmologia, università degli studi d’Annunzio Chieti-Pescara: “L’origine è legata a un danno del nervo trigemino, che può interessare sia il nucleo sia gli ultimi nervi che arrivano sulla cornea. Il danno si divide in tre stadi e nelle forme più severe può portare a ulcere e perforazioni corneali, con conseguenze sulla qualità e la quantità della visione, con una riduzione, fino all’assenza, della sensibilità corneale”.
Per l’oftalmologo, “riuscire a capire attraverso la nuova tecnologia quando ci troviamo di fronte a un danno nervoso, anche al primo stadio, è fondamentale per intervenire con una terapia appropriata, possibilmente eziologica e patogenetica. I nuovi farmaci – evidenzia Mastropasqua – devono essere, appunto, dei farmaci eziopatogenetici, ovvero che vanno a lavorare sui nervi. Tra questi, quello da cui ci aspettiamo un risultato è sicuramente il Ngf, perché agisce nella ricombinazione, nella ricrescita dei nervi. Quindi parliamo di una terapia eziologica e patogenetica. Agendo immediatamente possiamo recuperare i nervi evitando lo stadio II, che può causare ulcera corneale, e lo stadio III, che può portare al melting”. E questa partita può essere giocata – conclude l’esperto: “Grazie all’alta tecnologia associata ai farmaci più moderni”.
In collaborazione con AdnKronos
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