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Chernobyl, Natura si riprende i luoghi del disastro adattandosi alle radiazioni

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A Chernobyl decine di villaggi sono scomparsi dopo il tragico incidente nucleare. A Chernobyl tutto sembra essere rimasto al 1986, con i palazzoni vuoti e gli altri resti delle attività umane, un residuo spettrale dell’ex Unione Sovietica. Ma a Chernobyl la Natura si è ripresa i luoghi del disastro che causò migliaia di morti condannando con le sue radiazioni anche la vita di flora e fauna. A poco a poco infatti, in questi 30 anni trascorsi dalla strage, gli animali si sono riaffacciati, prima timidamente poi con maggiore decisione, tra la tundra e gli ex villaggi fantasma, e le piante si sono adattate ad un clima apparentemente così ostile alla vita crescendo tra le mura scrostate dei vecchi palazzi e le case abbandonate e mai più abitate dopo l’evacuazione di massa di allora.

Qui dove il tempo si è fermato a quel maledetto 26 aprile 1986, sembrava non esserci altro spazio che per la desolazione, la malinconia dell’abbandono, e quell’odore di morte che aleggia lì dove la vita è stata distrutta dalle radiazioni innescate dall’incendio del reattore 4 della centrale nucleare. E invece la Natura dimostra ancora una volta risorse insospettabili, tornando a ripopolare questi luoghi disgraziati e resi aridi e infertili dall’uomo stesso: bufali, lupi, aquile ed uccelli vari hanno trovato il loro nuovo habitat tra le rovine fatiscenti di un’epoca cristallizzata, a ridosso della tundra, nel nulla che ha cancellato interi villaggi e ciò che rimane di Pripyat, la città ucraina dove soltanto pochi umani si sono azzardati a ritornare a vivere, e soltanto perché non avevano altre possibilità che rimanere lì, in quell’inferno di radiazioni che ancora vengono emesse, seppur in diminuzione, dall’incessante fuoco del reattore.

Secondo gli esperti quel che è avvenuto in questi luoghi è una sorta di selezione non naturale, che ha portato a cambiamenti evolutivi nelle creature pur di adattarsi e sopravvivere nell’habitat contaminato. Lo scienziato Timothy Mousseau, che frequenta la zona rossa di Chernobyl dal 1999, ha pubblicato oltre 50 studi che illustrano sia le malformazioni e le anomalie genetiche che piante ed animali hanno dovuto subire in questo lungo arco di tempo, sia la capacità di alcuni esemplari di flora e fauna nel riuscire ad adattarsi e prosperare. E così oggi nell’area intorno a Chernobyl è più facile imbattersi in un lupo o un cinghiale in cerca di cibo che in persone fisiche, così come le piante stanno ricoprendo a poco a poco case, parchi giochi e tutte le tracce dell’uomo che dominava quest’area. La dimostrazione una volta di più che la Natura, nonostante tutte le ferite che gli infliggiamo quotidianamente, vince su tutto, anche sulle radiazioni che hanno condannato all’oblio e al deserto post-nucleare questo pezzo di territorio ucraino intorno a Chernobyl.

Giulio Ragni

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