Il Marocco ha le sembianze dello stupore, senza troppi compromessi. La Nazionale africana è in semifinale al Mondiale e ha un appuntamento con la storia contro la Francia, anzi per superarla quella storia che è già stata scritta nei quarti di finale contro il Portogallo. Al centro, senza pretendere la luce dei riflettori e i titoloni a fine partita, c’è un calciatore che gioca nella nostra Serie A: Sofyan Amrabat. Nonostante gli alti e bassi con la maglia della Fiorentina, l’ex Verona ha dimostrato nelle settimane in Qatar di essere un calciatore totale. Uno di quelli che risolve i problemi e nell’impalcatura di gioco del Marocco è semplicemente essenziale, in entrambe le fasi gioco. Andiamo, quindi, alla scoperta di un centrocampista nel vero senso del termine, che non ha alcuna intenzione di smettere di sognare, insieme a tutti i suoi connazionali.
Il calcio è di tutti, ma non è per tutti. È un sogno, è la porta per il mito che diventa attualità, è quella corsa che continua all’impazzata e magari a un certo punto accelera pure, fino a che non si arriva a sfiorare la leggenda e la si agguanta con la forza di chi non sogna più. Semplicemente vive il suo momento d’oro. Amrabat è in quella spirale vincente, ma non è cambiato. La gavetta se l’è fatta tutta, fino alla Serie A e a questo Mondiale, tanto boicottato e tanto malfamato, ma che ci sta regalando tante emozioni. Esattamente quelle che ci sta trasmettendo il Marocco di Walid Regragui, l’architetto del miracolo che sta scatenando la gioia di un intero Paese.
Il Marocco ha un’anima e un’identità ben precisi. Robe che molti danno per scontate per una squadra di calcio, ma che non lo sono affatto e sono probabilmente il fuoco sacro dello sport più bello del mondo. Ormai scrivere che la squadra di Regragui è una sorpresa è assolutamente riduttivo. È molto di più: sembra quasi la maniera degli Dei del calcio di riabilitare questo Mondiale, di regalarci con la palla che gira una storia bella. Di quelle che si ricordano per sempre. E senza ignorare la politica che si infila tra i tacchetti, nelle pieghe delle magliette e nei buchi della rete, inondato tutto ciò che succede prima, durante e dopo.
E in quello schema più grande, infantile e adulto, ossessivo e spontaneo, che nessuno sta lì a muovere i fili, ci sono i muscoli, la corsa, lo stile maturo e istintivo di Amrabat. Nella lista dei calciatori “italiani” che partecipano a questo Mondiale, il centrocampista è forse passato anche un po’ in sordina, non perché non se lo meritasse, per carità, ma perché le prime pagine non sono per una Nazionale contro il Marocco e per un centrocampista che segna poco, corre tanto e nei tabellini finali ci finisce soprattutto per le ammonizioni o le sostituzioni. A volte entrambe.
Uno che la sua carriera non l’ha cominciata dalla porta principale, ma è passato dal retro e senza neppure chiedere il permesso. Dallo Zuidvogels, nel 2007-08 entra a fare parte del settore giovanile dell’Utrecht. Otto anni in cui formarsi in una scuola dove se corri e hai piedi buoni e allora va bene, altrimenti meglio che guardi gli altri e con la pettorina e coprire parzialmente la divisa da gioco. Nel 2015-16 entra a far parte della prima squadra, inizia a farsi notare Amrabat. Perché lui corre, tanto più degli altri, ha un discreto piede ed è utile, maledettamente utile, anche nelle zone più laterali del campo.
Tanto che la sua occasione arriva, sempre in Olanda, quella che pensava fosse la sua terra promessa. Poi lo sarà l’Italia, forse il Qatar, a dire il vero. A luglio del 2017 passa al Feyenoord per 4 milioni di euro. Lì quel giovane di belle speranze lotta, cresce, fatica e tanto, ma non eccelle, anzi non funziona proprio. Un anno dopo, nella sua continua spirale di alti e bassi, si trova a ripartire dal Club Bruges e lì torna se stesso, ma solo per palati buoni. L’anno dopo, ecco la sua terra promessa, che riguarda la poesia, quella Verona che lui quasi impratichisce ed essenzializza con il suo gioco, fino a diventare un idolo assoluto di tutta la piazza. E far innamorare la gente è sempre cosa rara.
Con il passare del tempo, Amrabat cambia anche ruolo, sempre a centrocampo, per carità, e con caratteristiche tutte sue. La sua tattica e il suo equilibrio non saranno vistosi agli occhi meno attenti, ma uno come Juric ha detto chiaramente che grazie a lui i veneti hanno svoltato. Una dichiarazione d’amore per un allenatore come lui, abituato molto più a urlare che a sorridere e a fare i complimenti. E come potrebbe non essere amore, visto i risultati raggiunti in quella stagione, in mezzo ai Dimarco, Faraoni, Pessina e Zaccagni. E ora sapete a che punto sono nelle loro carriere.
È l’ora di un’ulteriore svolta, di un tentativo di salto tra le big conclamate del campionato, quelle che puntano necessariamente agli obiettivi importanti. E arriva la Fiorentina, che è un club solido, con una storia e una città unici, soprattutto ha un progetto tecnico e tattico veramente importanti. E poi c’è Vincenzo Italiano, un allenatore che parla da sé, con il suo 4-3-3 moderno, la sua linea alta e gli attaccanti taglienti, che possono arrivare da tutti i lati. In Toscana, però, Amrabat un po’ si sbiadisce. La sua titolarità è in discussione stavolta, lui fa fatica a trovare continuità e probabilmente anche i movimenti giusti. Ci mette sempre la grinta, quella è immancabile, ma entrare in area non è esattamente il pezzo forte del repertorio. Alla lunga, però, le cose migliorano. Il suo allenatore impara a conoscerlo, lo convince che spostarsi centralmente, da regista, non è poi una cattiva idea e lui se ne innamora. Anzi, si dà il permesso di innamorarsi, fino a non volersi più staccare da quelle zolle meravigliose cavalcate da chi, per le squadre, fa la differenza.
Però, qualcosa ancora gli manca. La Fiorentina inizia a zoppicare: l’attacco non funziona, la difesa a tratti imbarca acqua e alla fine, quando va così, le colpe ricadono anche sul centrocampo. Il percorso verso il Qatar di Amrabat è così: un agrodolce con poco zucchero e tanto da dare, senza immaginarsi di scrivere la storia poco dopo. Ma chi immagina davvero i sogni più belli prima di realizzarli?
Lo sbarco in Qatar ha portato una nuova aria, evidentemente, per il centrocampista della Fiorentina. Fin dall’esordio contro la Croazia, abbiamo visto un calciatore forte, maturo, che conosce i tempi della partita e tiene in mano le redini della mediana marocchina. Accorcia la squadra, poi la rialza, la lega insomma, che è una delle caratteristiche più cercate nel suo ruolo. Le premesse sono inaspettate: 0-0 contro la Croazia e tutti a darle contro. Che il Marocco è avversario debole, dicevano. Che è colpa dell’attacco di Dalic, continuavano. No, non è esattamente così. Il Marocco non si specchia, ma è bello. Non barocco, di certo, che quella è comunque questione di identità, lo sapete. La bellezza dell’essenzialità, del pragmatismo e dell’agonismo. Toh, puta caso le stesse di Amrabat.
Sì, proprio lui, quella bussola che non fa calare il ritmo degli africani. Subiscono gol e si rialzano, devono subire e lo fanno senza battere ciglio. Poi ripartono e si permettono pure di sbagliare tanti gol, altrimenti i passivi sarebbero troppo pesanti per una sorpresa. No, quello no, è solo un difettuccio di cattiveria sotto porta, che tutto non si può avere. Amrabat, in tutto ciò, mostra i muscoli. Se c’è la necessità di fare salire il livello di concentrazione nella partita, lo fa e lo fa per primo. Se c’è da recuperare il pallone, state sicuri che è lui. E l’abbiamo già detto che corre? Tantissimo, come se avesse un’abilità speciale per raddoppiare i polmoni o un motorino invisibile tra le gambe. Una sorta di personaggio di Dragon Ball, di quelli buoni, che nella trama si rivelano decisivi per sconfiggere il cattivo di turno.
Arrivati agli ottavi di finale, Amrabat mostra la sua versione Super Sayan. Contro la Spagna la sua evoluzione si completa: Luis Enrique ha un centrocampo atomico, uno dei più forti dell’intero Mondiale, ma il Marocco si arrocca e tiene, senza neanche subire più di tanto. Con la naturalezza delle grandi squadre e l’esultanza delle piccole. È quella la prova che dimostra come gli africani abbiano alzato il livello proprio quando era più necessario e non può essere casuale che l’abbiano fatto proprio quando Amrabat ha mostrato il suo volto migliore.
E con il Portogallo, quando per l’ennesima volta tutti li davano per spacciati, i ragazzi di Regragui hanno tirato fuori ancora una volta la loro qualità migliore: sorprendere. La partita è la fiera della difesa e lì il centrocampista della Fiorentina eccelle ancora. Senza calare di condizione e chiudendo ogni spazio. Da qui in poi la storia la sapete: Hakimi segna con lo scavetto, tutti lo sommergono di gioia, si scrive la storia. Si tratta della prima semifinale per una squadra africana: non era mai successo. E quello che stupisce di Amrabat in tutto questo non è solo la fase di contenimento, ma anche quella di riproposizione.
Amrabat ruba palla e fa ripartire l’azione: porta palla a testa alta e non se la fa rubare. Vince contrasti, che nel calcio moderno non è roba da poco, anzi è una mattonella essenziale per porre le basi della vittoria. E la tecnica non è niente male. Certo, non è Luka Modric o Andrea Pirlo, ma le verticalizzazioni sono precisi, i tempi delle giocate giusti. Soprattutto, l’ex Bruges dà la sensazione di avere sempre in mano la situazione e se non è così comunque recupera, domina semplicemente.
Raramente ha steccato, ma ora arriva la prova più difficile, quella contro una Francia che sembra nuovamente lanciata verso il titolo iridato. E anche loro a centrocampo hanno dimostrato di non essere deboli per nulla, come in tutti gli altri reparti. Intanto, però diverse cose si stanno muovendo, di quelle che vengono mosse dalla semifinale di un Mondiale. Un centrocampista così, che ormai non è più una bestemmia definire totale, non può passare inosservato agli occhi delle big internazionali, affamate di calciatori così.
La Fiorentina, però, non ha alcuna intenzione di perdere un centrocampista del genere e ha intenzione di esercitare l’opzione per rinnovare il contratto – attualmente in scadenza a giugno 2024 – fino al 2025. La strategia viola, però, è più ampia: il vero obiettivo è firmare un accordo fino al 2027, portando Amrabat a un ingaggio in linea rispetto ai big della rosa, intorno ai tre milioni di euro. Esattamente il doppio rispetto a quanto percepisce adesso. E, intanto, secondo il “Corriere dello Sport”, il Liverpool starebbe seriamente pensando di dare nuovo impulso alla sua mediana proprio grazie all’arrivo del perno marocchino.
Il fratello Nordin, intanto, strizza l’occhio un po’ qua, un po’ là: fa il suo gioco. Lo accosta al PSG, poi lancia segnali al Barcellona e al Manchester United. Ma non è un caso che la Premier League sia la destinazione più probabile per il mediano, dato che c’è anche il Tottenham di Antonio Conte. Amrabat è a un ritmo diverso, superiore rispetto a quello italiano, come se l’Inghilterra fosse il posto ideali per sentirsi compresi. Come uno studente che sceglie di partire per l’università e scopre se stesso. E lo sappiamo, ve lo starete chiedendo… Ma le big italiane, le migliori, dove sono? Indietro. Sì, perché Juve, Inter e Milan intanto pensano ad altro, e ci sono anche questioni delicate di mezzo per i bianconeri, senza bisogno di tornarci sopra.
Perché è vero che il nostro Paese ha assunto le sembianze della terra promessa di Amrabat, ma nessuno ha voluto scommetterci fino in fondo. E come profetizzava Michel Houellebecq in Sottomissione: “La nostalgia non è un sentimento estetico”. Ci mancherebbe tanto quel motorino infaticabile in mezzo al campo, anche se non ruba l’occhio, anche se non ha le movenze dei più grandi. La sua è una storia di cui avevamo bisogno e – potenzialmente – un rimpianto con cui nessuno vuole tormentarsi. Quella storia in cui a vincere sono i buoni, è la fatica, la mentalità, l’umiltà e la meritocrazia. È Sofyan, quello dai quadricipiti di ferro che ora valgono oro.
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