Il PD ha un nuovo presidente: è Matteo Orfini, 40 il prossimo 30 agosto, eletto dall’Assemblea del partito lo scorso sabato. Deputato del partito entrato per la prima volta in Parlamento alle elezioni del febbraio 2013, dopo aver vinto le primarie dei parlamentari, Orfini ha il compito ora di unire maggioranza e minoranze all’interno del partito, appianando le divergenze tra l’ala maggioritaria che fa capo al segretario e Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e gli altri gruppi, cuperliani e e civatiani in primis. Un ruolo difficile, viste le problematiche emerse dopo il caso Mineo.
Il nome di Matteo Orfini ha però trovato la maggioranza quasi totale e ha messo d’accordo i nomi più in vista del PD. Gianni Cuperlo aveva proposto per il suo sostituto il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, nome che però ha trovato l’opposizione di Renzi. La scelta è quindi caduta di Orfini, che rappresenta una minoranza all’interno del partito ma che condivide alcuni temi chiavi della politica renziana.
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Biografia di Matteo Orfini
Classe 1974, nato a Roma (ma tifoso del Milan), Orfini studia archeologia, senza conseguire la laurea, dedicandosi da subito all’attività politica nel circolo Mazzini di Roma, diventandone anche segretario. Inizia a collaborare con Massimo D’Alema sia nella fondazione di Italianieuropei, sia come membro del suo staff come portavoce. Attivo sui social network (il profilo Twitter @orfini conta 19.200 follower, e ha un blog, anche se non molto aggiornato), viene scelto da Pier Luigi Bersani nel 2009 come responsabile alla cultura della segreteria. Insieme ad altri esponenti del partito fonda la corrente definita “Giovani Turchi”, o “post-dalemiani” che vuole inserire il PD all’interno delle nuove socialdemocrazie europee. Nel 2011 con l’attuale ministro Andrea Orlando e l’ex vice ministro Stefano Fassina crea “Rifare l’Italia”: il documento programmatico della corrente prevede sì un cambio generazionale, come voluto dal Rottamatore Renzi, ma anche una serie di attacchi a una politica che ha perso la propria rappresentatività, soprattutto tra i lavoratori.
“Possiamo dire a un giovane precario che adesso gli riproponiamo la stessa classe dirigente che lo ha portato nelle condizioni in cui è oggi? Oppure gli possiamo proporre uno che parla in dialetto fiorentino e dice oggi che dobbiamo continuare a fare esattamente quello che facevamo venti anni fa”, sono le sue parole all’epoca della presentazione della corrente. E ancora “Bisogna riaffermare quell’idea secondo la cui c’è un nesso inscindibile tra qualità dei partiti e qualità della democrazia. E che nel nostro paese serve come il pane uno strumento che consenta a un giovane povero, di una zona povera del Mezzogiorno, di avere un luogo in cui andare per cercare di combattere per cambiare la propria condizione individuale e quella del proprio Paese. E tutto questo si fa con i partiti”.
Un PD più socialdemocratico che laburista, alla Renzi per capirci, destinato a diventare il PSE Italiano. Nonostante la visione diversa il segretario e il presidente di oggi sono accomunati dalla volontà di cambiare le gerarchie, portare nomi nuovi all’interno delle posizioni di comando.
Al momento dell’elezioni di Renzi a segretario, Orfini, che aveva sostenuto Cuperlo, getta subito un ponte di dialogo. È uno dei pochi uomini della “sinistra” del partito a difendere la scelte del segretario di andare in tv da “Amici” di Maria De Filippi; quando Fassina si dimette da vice ministro in polemica con Renzi (il famoso “Fassina chi?”), non ne comprende le motivazioni. “È vero che il ‘chi’ di Renzi è stato politicamente inopportuno ed offensivo sul piano personale, tuttavia durante le primarie sia io che lui di Renzi abbiamo detto ben peggio”, dice all’epoca.
Oggi l’elezione a presidente, in un ruolo a lui congeniale, come rappresentante della minoranza e come punto di incontro tra le diverse istanze del partito, ma con un obiettivo preciso: “rottamare” il vecchio per far spazio al nuovo.