[didascalia fornitore=”ansa”]Il superlatitante della camorra, Michele Zagaria, arrestato dalla polizia a Casapesenna[/didascalia]
Chi è Michele Zagaria: vediamo la biografia e la storia del boss di camorra arrestato nel 2011 dopo 16 anni di latitanza. Nato il 21 maggio 1958 a San Cipriano d’Aversa, Michele Zagaria soprannominato Capastorta, è stato boss del clan dei Casalesi, e considerato a livello nazionale il ‘re del cemento’ per i suoi affari negli appalti pubblici gestiti con profitto in diverse regioni italiane. A ottobre 2017 il capoclan viene interpretato da Alessandro Preziosi, protagonista della fiction ‘Sotto copertura‘ che racconta proprio la vera storia di Zagaria.
Chi è Michele Zagaria, la biografia
Michele Zagaria detto Capastorta, ha una biografia di tutto rispetto in ambito criminale, per essere un camorrista a capo del clan dei casalesi, latitante da 16 anni e con diverse condanne all’ergastolo sulla testa. Nato nel 1958, scala rapido la vetta del crimine piazzandosi al primo posto dei ricercati italiani, subito dopo la cattura di Bernardo Provenzano. Ricercato a livello internazionale dal 1995 per associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, rapina e altro, il pericoloso latitante viene arrestato nel 2011 a Casapesenna, luogo nel quale ha, in pratica, passato tutti gli anni di latitanza in tranquillità.
Soprannominato il re del cemento per i suoi interessi nel campo dell’edilizia e delle costruzioni, il boss del clan dei Casalesi riuscì a fare affari illeciti in tutti Italia, non solo nel casertano. Tante aziende a lui riferite sono state titolari di appalti pubblici in molte regioni d’Italia. Quello di cui si occupava era il movimento terra (anche con noleggio di attrezzature e macchinari), il ciclo del calcestruzzo, lo smaltimento dei rifiuti inerti. Le sue ricchezze provenivano da lavori svolti nel Lazio, in Toscana, in Umbria, in Abruzzo, in Lombardia e soprattutto in Emilia Romagna.
Michele Zagaria arriva al potere camorristico grazie a cambi al vertice del clan dei Casalesi, dopo l’omicidio, per mano di Mario Iovine, di Antonio Bardellino che si era rifiutato di uccidere il pentito Tommaso Buscetta. Dopo il pentimento di Carmine Schiavone a capo del clan giunsero Francesco Bidognetti e Francesco Schiavone ‘Sandokan’. Fu quest’ultimo a introdurre Zagaria nel gruppo criminale, che come primo lavoro fece l’autista al boss Ammaturo. Col tempo guadagnò i vertici del comando del clan, fino a diventare uno dei latitanti più ricercati al mondo, capace anche di ‘disturbare’ gli affari della ‘ndrangheta calabrese. Fedele al potere, rinunciò a crearsi una famiglia per non avere punti deboli.
Anche da latitante Zagaria seguiva personalmente i suoi affari, segno che poteva contare su una serie di coperture molto affidabili. Per lui è stata persino inventata la formula ‘sistema Zagaria‘ per intendere la sua capacità di infiltrazione criminale nell’economia legale e negli appalti, pubblici e privati. Zagaria – ha scritto nel 2006 Roberto Saviano – non aveva rivali quando veniva applicato “il perverso meccanismo del massimo ribasso degli appalti edili”, e faceva grandi affari fornendo materiale scadente e lucrando sui subappalti e sulle assunzioni in nero. I denari venivano recuperati anche con il commercio della droga e del racket, soldi che venivano poi investiti al nord, come detto o all’estero, o ancora in investimenti sui mercati finanziari.
Dopo due anni di indagini coordinate da un pool di magistrati della DDA di Napoli, Michele Zagaria è stato arrestato a Casapesenna, in provincia di Caserta, a casa sua, il 7 dicembre 2011 in un blitz che ha coinvolto circa cento poliziotti. Il boss camorrista era tranquillamente sotto al suo appartamento. Aldilà del pavimento della sua abitazione si era fatto costruire un bunker sotterraneo sotto uno strato di cinque metri di cemento armato. Secondo quanto diffuso dal procuratore che lo vide subito dopo la cattura, le prime parole del boss furono: “L’avete detto voi ha vinto lo Stato? Lo Stato vince sempre, lo so”.
A ‘vendere’ Michele Zagaria è stata Anna Aversano, in cambio di 10mila euro. “Michele non si fidava di me”, racconta proprio la Aversano ai poliziotti quando inizia a collaborare di nascosto. Il boss dunque aveva intuito che lei lo avrebbe tradito. Lo Stato era disposto a ricompensarla con 50mila euro se avesse aiutato la polizia a catturare Zagaria. Ne prese solo 10 poiché le sue indicazioni non furono complete. Altri 40mila euro furono dati a un uomo che indicò il bunker di via Mascagni, dove effettivamente fu ritrovato il boss.
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