Un simpatizzante dell’Isis, un uomo con problemi psichici o un pazzo omofobo. Le autorità stanno cercando di capire chi sia davvero Omar Mateen, il killer autore della strage di Orlando. Alcune notizie sul suo conto sono già state confermate: 29 anni, nato a New York da una famiglia di origine afghana, quindi cittadino a tutti gli effetti, di professione guardia giurata. Fin qui le certezze. Le autorità indagano sul suo conto per capire se abbia avuto dei legami con cellule jihadiste, se sia stato un lupo solitario che ha voluto emulare la violenza dell’Isis o se invece faccia parte di un piano più articolato. La stampa USA sta cercando di ricomporre il puzzle: vediamo chi è il killer di Orlando.
GIOVANI E SPENSIERATI, CHI SONO LE VITTIME DELLA STRAGE DI ORLANDO
La Polizia ha riferito che prima della strage, Mateen aveva chiamato il 911 per annunciare la sua azione e giurare fedeltà all’Isis e al suo leader, Abu Bakr al-Baghdadi. Siamo di fronte a un primo elemento che farebbe pensare a legami con il terrorismo di matrice islamica. A questo si aggiunge la notizia rilasciata dalla Cnn secondo cui Mateen era noto all’FBI da tempo e per due volte era stato al centro di indagini per terrorismo, finite in un nulla di fatto.
Voleva fare il poliziotto
Un elemento che emerge dalle indagini è che Omar Mateen voleva fare il poliziotto. Amici e familiari lo hanno raccontato agli inquirenti e nei selfie ritrovati sul web lui stesso indossa una divisa del NYPD, il dipartimento di polizia di New York. Secondo un amico, avrebbe provato a iscriversi all’accademia. Perché non l’abbia fatto o se non ci sia riuscito non è chiaro: di certo sappiamo che è diventato guardia giurata. Aveva quindi molta dimestichezza con le armi: se consideriamo che negli USA è facilissimo acquistare anche un fucile automatico come quello usato per la strage, abbiamo un quadro più chiaro.
L’ex moglie: ‘Un pazzo violento’
Mateen era stato sposato ed è proprio l’ex moglie, Sitora Yusufiy, a fare un suo ritratto ai media statunitensi. “Era un bipolare, un pazzo violento, mi picchiava e lo faceva anche solo perché il bucato non era pronto e cose del genere. La mia famiglia mi ha letteralmente salvato la vita. Dopo il divorzio mi ha messo sul primo aereo e mi ha portato via da lui, il più lontano possibile“, ha dichiarato di fronte alle tv americane. I due si erano conosciuti online e si erano sposati nel 2009, divorziando due anni dopo. Dalla sua descrizione, l’ex marito era una persona instabile e violenta, che andava in palestra, assumeva anabolizzanti e non era un fervido credente. In questo caso, sarebbe difficile credere a legami con il terrorismo: piuttosto saremmo di fronte a una personalità pericolosa e omofoba.
FBI NELLA BUFERA: IL KILLER ERA STATO INDAGATO DUE VOLTE
Il padre: ‘Furioso contro i gay’
A sostegno della tesi dell’omofobia c’è anche il padre di Omar, Mir Seddique Mateen. Secondo lui, il figlio era furioso dopo aver visto due gay baciarsi per strada a Miami. Nessun movente legato al terrorismo islamico dunque. Peccato che lo stesso Seddique abbia lui stesso legami con il mondo del jihad. Sulla sua pagina Facebook si era candidato per la presidenza dell’Afghanistan e in un video recente postato su Youtube aveva dato il suo appoggio all’operato dei talebani afghani. Come riportato dal Washington Post, Seddique aveva attaccato il Pakistan per la lotta al terrorismo e aveva lodato “i nostri fratelli guerrieri talebani che si stanno risollevando“.
Un fedele ma non un estremista
Conoscenti e amici lo hanno descritto come un fedele devoto ma non estremista, che si recava al Centro islamico di Orlando tre o quattro volte alla settimana con il figlio minore per pregare. L’imam lo ricorda come una persona schiva, che non aveva allacciato rapporti con nessuno ma che, a prima vista, non appariva violento.
Noto all’FBI
Quello che emerge dalla stampa USA è che Omar Mateen era già noto all’FBI e che per due volte era finito nel mirino del Bureau, nel 2013 e nel 2014. Secondo quanto ha riferito l’agente Ron Hopper alla stampa, la prima volta era stato al centro di indagini per “commenti provocatori con colleghi su possibili legami con i terroristi“; fermato due volte e interrogato a lungo, era stato rilasciato per mancanza di elementi a suo carico. L’anno dopo era stato sentito per sospetti legami con Moner Mohammad Abusalha, il primo attentatore suicida statunitense a farsi esplodere in Siria. Anche il quel caso non fu fatto nulla perché “il contatto era minimo e non costituiva una relazione importante o una minaccia in quel momento“, come ha spiegato Hopper.