Rishi Sunak è diventato il leader del Partito conservatore e quindi primo ministro della Gran Bretagna perché la sua sfidante, Penny Mordaunt, leader della Camera dei Comuni, ha rinunciato alla candidature per le primarie. Ecco chi è il ricchissimo ex cancelliere dello scacchiere di origini indiane potrebbe arrivare a Downing Street già da oggi.
Vinte (o manco iniziate) le primarie per la successione di Liz Truss, però, potrebbe rimanere al timone dei Tory il tanto che basta per traghettare il Regno Unito alle prossime elezioni. Boris Johnson, dopo tutto, si è fatto da parte ieri, ma non è detto che nel 2024 non torni in campo per prendersi la leadership del partito e ridurre il gap con i labouristi che, ora, dopo le disastrose politiche economiche della premier meno longeva della storia della Gran Bretagna, è di più di 30 punti percentuali.
Quarantadue anni, nato a Southampton da genitori immigrati dal Punjab, in India – papà Yashvir medico e mamma Usha farmacista -, Rishi Sunak sarà il primo ministro britannico non bianco. Se la sua famiglia di origine può essere considerata piuttosto benestante, l’incontro con la moglie Akshata Murthy gli svolta la vita, almeno dal punto di vista economico: hanno un patrimonio di 900 milioni di sterline.
Laureato in filosofia, politica ed economia a Oxford al Winchester College, poi un master in business administration a Stanford, negli Stati Uniti, dove, appunto, incontra la figlia del miliardario indiano N.R. Narayana Murthy, che è il fondatore di Infosys, un colosso informatico.
Ma non c’è solo quello, perché prima di entrare in politica e diventare il cancelliere dello scacchiere del governo di Boris Johnson dal 13 febbraio 2020 al 5 luglio 2022, praticamente durante tutta la pandemia, lavora da Goldman Sachs e anche per due diversi hedge fun, oltre a essere il direttore di una società di investimento, la Catamaran Ventures, che è di proprietà del suocero.
E poi sì, il Partito conservatore, e il Covid. Durante la pandemia, decide di far suo il motto del nostro Mario Draghi, quel “whatever it takes” che ha pronunciato da numero uno della Bce e con cui l’ha salutato anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, al termine dell’ultimo incontro da presidente del Consiglio italiano. Per salvare la Gran Bretagna, mette a punto un programma di aiuti da 400 miliardi, che gli fa affibbiare l’etichetta di “socialista” tra i Tory.
Un neo, anzi due, macchiano le sue politiche: l’aver partecipato ai Partygate che hanno portato, poi, alle dimissioni di BoJo, e soprattutto lo scandalo che ha visto coinvolta la moglie. Ad aprile, infatti, si è scoperto che Murthy non ha pagato le tasse per anni nel Regno Unito perché non domiciliata – in realtà ha sempre vissuto a Londra – mentre lui di fatto le alza. Se non bastasse, si scopre anche che richiede la green card negli Stati Uniti, probabilmente con l’idea di volersi trasferire là.
Brexiter della prima ora, nelle primarie di settembre sfida Truss perdendo di misura, ma già in anticipo predice che abbassare le tasse, in questo momento storico, non è fattibile, anzi è un azzardo: “Gli interessi saliranno alle stelle, e le famiglie ne pagheranno le conseguenze insieme a un’inflazione già alta“, avverte e ha ragione.
Nel suo programma che non avrà modo di sottoporre al vaglio dei 140mila iscritti del Partito conservatore perché la sua unica sfidante, Penny Mordaunt, ha ritirato la candidatura, vorrebbe calmare i mercati e ridare credibilità finanziaria al Regno Unito, abbassare sì le tasse ma solo quando la congiuntura finanziaria lo permetterà, limitare l’immigrazione irregolare, cercare di liberare il potenziale della Global Britain.
E vorrebbe anche rimanere al timone del partito anche oltre il 2024, e quindi puntare alle elezioni. Due sono i principali problemi, però: uno è tutto interno ai Tory, l’altro, invece, riguarda il grande gap con i Labour che Sunak dovrà tentare di colmare, almeno in parte.
Partiamo dai conservatori. Come fatto capire già ieri, Johnson si è chiamato fuori dalle primarie perché non era il momento giusto, ma non è detto che non lo sia, per esempio, fra due anni quando i cittadini britannici dovranno scegliere chi li rappresenterà per i successivi cinque anni.
L’ex premier, come nel 2019, potrebbe andare molto forte nelle Midlands e nel nord dell’Inghilterra, tra gli ex operai, in maggioranza bianchi, che quindi voterebbero più volentieri lui rispetto a un candidato non bianco e figlio di migranti. Sunak, dunque, potrebbe puntare sulle minoranze, ma i sondaggi lo danno in netto svantaggio rispetto a Johnson, almeno per il 2024.
E poi sì, il partito dei labouristi, con il leader Keir Starmer, è così lanciato, con oltre 30 punti percentuali di distacco, che una riconferma a Downing Street 10 può passare solo da politiche assolutamente convincenti per il popolo della Gran Bretagna.
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