Licio Gelli è morto. A 96 anni scompare uno degli uomini più oscuri della storia repubblicana: capo indiscusso della loggia massonica detta P2, Gelli è morto al termine di una lunga malattia nella sua villa di Arezzo, villa Wanda, così chiamata in onore della prima moglie. “Il materassaio”, “il Venerabile”, “Il burattinaio”, “Belfagor”: sono tanti i soprannomi con cui Gelli è passato alla storia. Al suo nome e a quello della loggia P2, da lui guidata come una sorta di contro-potere oscuro allo scopo di sovvertire lo Stato democratico, sono legati i misteri più cupi e oscuri della nostra recente storia: arrestato più volte, in fuga dalla Svizzera e dalla Francia, condannato in via definitiva per l crack del Banco Ambrosiano, Gelli si porta nella tomba la parte più nera della storia degli ultimi quarant’anni.
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“Sono fascista e morirò fascista“. In questa frase si condensa la vita e la storia di Licio Gelli. Dietro il suo nome e la P2, si celano alcuni dei momenti più cupi della recente storia italiana. A lui e alla loggia massonica sono stati collegati scandali finanziari e politici, il caso Sindona e Calvi, attentati di matrice terrorista e di mafia; nomi illustri della politica, della finanza, delle Forze Armate e dell’imprenditoria sono stati iscritti alla P2. Gelli ha manovrato, come il “burattinaio” che era, le fila delle trame politiche e culturali italiane, con un solo obiettivo: sovvertire l’ordine democratico dello Stato, infiltrandosi a tutti i livelli della società, dai più alti ai più bassi, dai ministeri ai consigli comunali.
Chi era Licio Gelli
Nato a Pistoia il 21 aprile del 1919, Gelli a 18 anni parte per la Spagna e si unisce alle camicie nere di Francisco Franco nella guerra civile spagnola: fascista e repubblichino , con la Liberazione e la vittoria dei partigiani fugge in Argentina per qualche anno. Rientrato in patria, lavora per la fabbrica di materassi Permaflex, facendo carriera al suo interno.
Nei primi anni Sessanta, si iscrive alla loggia massonica “Propaganda 2”, nata a fine Ottocento, e in pochi anni scala la piramide del potere, arrivando a essere nominato Gran Maestro. Sotto di lui, la P2 si insinua nella vita politica, civile ed economica del Paese. Il caso Calvi, Sindona, il depistaggio delle indagini per la strage di Bologna, il caso Moro, il tentato golpe Borghese, attentati di mafia, Tangentopoli: non c’è scandalo o mistero italiano che non venga ricollegato in qualche modo a lui.
Il suo nome, nascosto per anni all’opinione pubblica, sale alla ribalta il 17 maggi 1981 quando i giudici milanesi Colombo e Turino, durante le indagini sul crack Sindona, scoprono le liste degli iscritti alla P2 negli appartamenti della loggia. Oltre mille i nomi tra politici, giornalisti, militari, alti gradi dei servizi segreti, editori, magistrati e imprenditori. Spiccano i nomi dei finanzieri più discussi come Roberto Calvi e Michele Sindona, ma anche Silvio Berlusconi. Di lui, Gelli dirà in seguito che era l’unico a poter andare al potere in Italia.
Lo choc è enorme per tutto il Paese. La P2 si è insinuata come un cancro in ogni aspetto dello Stato, può contare su uomini e mezzi finanziari per continuare a essere un contro-potere parallelo a quello democratico. Il 22 maggio 1981 viene emesso il primo mandato d’arresto per Gelli che risulta irreperibile. In fuga grazie ai suoi contatti, viene fermato a Ginevra il 13 settembre 1982 e rinchiuso nel carcere di Champ Dullon dal quale evade il 10 agosto 1983. Quattro anni dopo, il 21 settembre 1987, si costituisce a Ginevra e torna in carcere, sempre allo Champ Dullon: il 17 febbraio 1983 viene estradato in Italia. L’11 aprile ottiene la libertà provvisoria per motivi di salute. Il 16 gennaio 1997 viene raggiunto da un nuovo ordine di arresto, ma il ministero della Giustizia lo revoca: il reato di procacciamento di notizie riservate non era tra quelli per cui era stata concessa l’estradizione.
Il 22 aprile 1998 la Cassazione conferma la condanna a 12 anni per il crack del Banco Ambrosiano. Il 4 maggio Gelli è di nuovo in fuga e viene fermato quattro mesi dopo. Ottiene i domiciliari, che sconterà a Villa Wanda, la residenza, che nell’ottobre 2013 gli viene sequestrata a conclusione di un’indagine per un debito col fisco. Continua però a vivere nella villa, che è rientrata nella sua disponibilità piena nel gennaio scorso per la prescrizione di reati fiscali, fino alla sua morte.
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