[didascalia fornitore=”ansa”]Giorgio Almirante e Fini[/didascalia]
Negli ultimi giorni il nome di Giorgio Almirante è tornato sulle pagine dei giornali, in seguito alla proposta di Fratelli d’Italia di intitolare una strada allo storico segretario del Movimento Sociale Italiano. La mozione aveva ottenuto il consenso di Fratelli d’Italia, della lista ‘Con Giorgia’ e del M5s. Il Pd invece non era presente, perché i consiglieri erano usciti in segno di protesta per l’assenza del sindaco Raggi. Tuttavia nella notte è intervenuto il primo cittadino capitolino per bloccare l’avanzata della proposta, annunciando una mozione che ‘impedisce l’intitolazione di strade ad esponenti del fascismo o persone che si siano esposte con idee antisemite o razziali’. In fermento anche la comunità ebraica che aveva espresso il suo sdegno: ‘Una vergogna per questa città’. Ma chi era veramente Giorgio Almirante?
Storicamente e politicamente Almirante è stato una figura piuttosto controversa, fu definito ‘un teorico e pratico del razzismo, nonché un fascista di dichiarata deriva nazista’, tuttavia Giorgio Napolitano, nel 2014, lo ha descritto così: ‘Ha avuto il merito di contrastare impulsi e comportamenti anti-parlamentari che tendevano periodicamente a emergere, dimostrando un convinto rispetto per le istituzioni repubblicane che in Parlamento si esprimeva attraverso uno stile oratorio efficace e privo di eccessi anche se spesso aspro nei toni. È stato espressione di una generazione di leader che hanno saputo confrontarsi mantenendo un reciproco rispetto a dimostrazione di un superiore senso dello Stato’.
Posizioni contrapposte, difficilmente assimilabili, che costruiscono un ‘quadro Picassiano’ di Giorgio Almirante. Vediamo dunque alcuni passaggi salienti della sua carriera, i guai giudiziari e le condanne, per avere un’idea più concreta di chi sia stato realmente.
Nel lontano 1938 il nome di Giorgio Almirante comparve tra i firmatari del ‘Manifesto della razza’. Negli anni immediatamente successivi, lavorò come segretario di redazione per la testata giornalistica ‘La difesa della razza’. Poi arrivò la Seconda guerra mondiale è Giorgio Almirante fu arruolato e prese parte alla Campagna del Nordafrica. Nel ’44 divenne tenente della brigata nera e si occupò della lotta contro i partigiani, in particolare nella Val d’Ossola e nel grossetano. Nello stesso anno, uscì un manifesto firmato da Almirante nel quale si definiva ‘la pena della fucilazione per tutti i partigiani che non avessero deposto le armi e non si fossero immediatamente arresi’. Nell’autunno del ’46 partecipò alla fondazione dei Fasci di Azione Rivoluzionaria insieme a Pino Romualdi e Clemente Graziani.
Nel ’47 arrivarono i ‘primi guai’ per Almirante: dapprima venne condannato per collaborazionismo con le truppe naziste, subito dopo fu accusato del reato di apologia del fascismo, in seguito a un comizio in Piazza Colonna in piena campagna elettorale. Nel ’58, al termine di un altro comizio a Trieste, la questura lo condannò nuovamente per ‘Vilipendio degli Organi Costituzionali dello Stato’. Più di dieci anni dopo, nel 1971, il Procuratore della Repubblica di Spoleto Vincenzo De Franco si scagliò contro Almirante chiedendo alla Camera dei Deputati l’autorizzazione a procedere contro i politico per i reati di ‘Pubblica Istigazione ad Attentato contro la Costituzione’ ed ‘Insurrezione Armata contro i Poteri dello Stato’. Autorizzazione che fu concessa.
“Il dr. Giorgio Almirante, segretario della giunta esecutiva del Movimento Sociale italiano, già redattore capo di ‘Il Tevere’ e di ‘Difesa della razza’, capo Gabinetto del ministero della Cultura popolare della pseudo Repubblica di Salò, è stato deferito alla Commissione Provinciale per il confino quale elemento pericoloso all’esercizio delle libertà democratiche, non solo per l’acceso fanatismo fascista dimostrato sotto il passato regime e particolarmente in periodo repubblichino, ma più ancora per le sue recenti manifestazioni politiche di esaltazione dell’infausto ventennio fascista e di propaganda di principi sovvertitori delle istituzioni democratiche ai quali informa la sua attività, tendente a far rivivere istituzioni deleterie alle pubbliche libertà e alla dignità del paese”, dichiarò la Procura di Roma.
Il Fatto Quotidiano, riporta il racconto dell’ex terrorista neofascista Vincenzo Vinciguerra, reo confesso della strage di Peteano: parla nel 1982 di Almirante che portò 35.000 dollari al terrorista Carlo Cicuttini, dirigente del MSI friulano, coautore della strage, perché con un intervento chirurgico alle corde vocali gli cambiasse la voce durante la sua latitanza in Spagna. Nel ’86, vennero rintracciati i documenti che testimoniavano il passaggio di denaro, così Giorgio Almirante e l’avvocato goriziano Eno Pascoli furono rinviati a giudizio per favoreggiamento aggravato verso i due terroristi neofascisti. Successivamente Pascoli fu condannato, mentre Almirante si avvalse dell’immunità parlamentare e infine uscì dal processo grazie a un’amnistia.
Scottante anche la testimonianza di Ernesto De Marzio, capogruppo del MSI alla Camera, il quale ha raccontato di un incontro nel 1970 tra Junio Valerio Borghese ed Almirante. In quell’occasione alla proposta di Borghese di aderire all’imminente colpo di stato Almirante avrebbe risposto: ‘Comandante, se parliamo di politica e tu sei dei nostri devi seguire le mie direttive: ma se il terreno si sposta sul campo militare allora saremo noi ad attenerci alle tue indicazioni’.
Indimenticabile infin l’episodio in cui Almirante porse le sue congratulazioni ad Augusto Pinochet dopo il golpe contro Allende.
Il Corriere della Sera riporta invece una dichiarazione shock di Almirante, parole rilasciate a un giornalista a microfono spento, dopo un’intervista del 1980: “La prego, spenga il registratore. Quello che le dirò ora esula dall’intervista. Ho l’impressione che lei sia educato, ma non convinto delle mie risposte. Anzi. Allora sono io che le pongo una domanda. Con una premessa. Sto a Montecitorio dal 1948, da più di trent’anni. Il Msi si è trasformato, da quel nucleo iniziale di reduci del fascismo. Ormai fa parte stabilmente della geografia politica dell’Italia repubblicana. È stato un processo lento e difficile. Bene: ma lei crede davvero che io possa pensare di chiudere la mia carriera, la mia vita politica, facendo il becchino di un partito che muore perché una generazione si spegne per motivi anagrafici e un’altra perché chiusa in galera? Crede davvero che sia così miserabile da avere questa ambizione da nostalgico rincoglionito? Le dirò di più: io non voglio morire da fascista. Tanto che sto lavorando per individuare e far crescere chi dovrà prendere le redini del Msi dopo di me. Giovane, nato dopo la fine della guerra. Non fascista. Non nostalgico. Che creda, come ormai credo anch’io, in queste istituzioni, in questa Costituzione. Perché solo così il Msi può avere un futuro.”.
Quest’ultima dichiarazione ‘rubata’ di Almirante destabilizza, contrasta con la storia, i fatti della sua carriera, che insieme come tanti pezzi di un puzzle costruiscono un’immagine inquietante.
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