La morte del Capo dei capi non ha posto fine a Cosa Nostra ma su chi sarà l’erede di Totò Riina ci sono ancora molti dubbi. Esperti, magistrati, procuratori e giornalisti concordano nel dire che la mafia siciliana sopravviverà al boss dei boss: come e con chi è ancora da capire. Raccogliere l’eredità del capo mafia più sanguinario di tutti i tempi, responsabile e ideatore della stagione stragista degli anni Novanta, non sarà semplice. La società è cambiata, lo Stato si è dotato di strumenti investigativi e repressivi efficaci e l’attenzione mediatica è costante, ma anche la criminalità organizzata si è evoluta. Oggi la lupara e la coppola sono state sostituite dal colletto bianco e dalla corruzione: la mafia siciliana non è scomparsa, è solo cambiata. Quello su cui tutti gli esperti concordano è che Cosa Nostra non potrà fare a meno di un vertice perché la struttura a piramide, con qualcuno al comando, è nel suo Dna. Se fare una lista dei possibili eredi di Salvatore Riina è “velleitario oltre che prematuro”, come ha dichiarato il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, si possono fare delle ipotesi sul futuro di Cosa Nostra.
Il primo dato da cui partire è quello già accennato: la struttura verticistica della mafia siciliana. A differenza della camorra, più orizzontale con diversi clan che si spartiscono il territorio, o della ‘ndrangheta, che ha nella famiglia il suo collante, Cosa Nostra ha da sempre un vertice che comando tutto. Totò Riina era il super boss, il culmine della piramide a cui tutti facevano riferimento, ma non è sempre stato così. Per capire il futuro di Cosa Nostra, facciamo un passo indietro nel suo passato.
Prima di Riina: la Cupola
Prima di Riina, al comando a livello regionale c’era la Commissione Interprovinciale, mentre la provincia di Palermo, quella con le famiglie più potenti e pericolose, era gestita da una Commissione provinciale nota semplicemente come la Cupola. Si trattava di strutture collegiali che riunivano i capi delle cosche più forti e che coordinavano tutte le attività. Il primo a parlare del funzionamento e della composizione di queste strutture fu Tommaso Buscetta, il pentito che svelò tutto a Giovanni Falcone nel 1984 permettendogli di imbastire il Maxiprocesso. All’epoca c’erano i Corleonesi di Totò Riina al vertice, arrivati al comando dopo la seconda guerra di mafia che insanguinò la Sicilia nei primi anni Ottanta. La Cupola, secondo il racconto di Buscetta, nacque nel 1957 e fu importata in Sicilia dai mafiosi italo-americani che avevano rapporti continui con la malavita siciliana. Col passare degli anni, la Commissione Provinciale si è consolidata nella struttura, cambiando i nomi al vertice, da Salvatore “Cicchiteddu” Greco, a capo della cosca di Ciaculli, a Gaetano Badalamenti fino a Riina.
Dopo Riina: una nuova Cupola?
Una delle ipotesi del post Riina è la creazione di una nuova Cupola. Totò u’ curtu ha accentrato così tanto il potere nelle sue mani che, preso lui, la Cupola si è disfatta anche grazie al maxi processo, al sacrificio di Falcone e Borsellino e alle vittorie dello Stato. La mafia siciliana potrebbe decidere di tornare alle origini e mettere insieme i boss dei vari mandamenti, ricostruendo un vertice collegiale. Questo perché a oggi non ci sarebbe una figura carismatica in grado di prendere il posto di Riina al vertice, come ha spiegato l’ex Procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, oggi pm nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, all’Adnkronos. La morte del Capo dei capi era però attesa ed è quindi improbabile che i boss siano stati colti alla sprovvista. Sempre secondo Teresi, il processo di rifondazione della Cupola potrebbe già essere partito. “Da un po’ è finito il tempo del centralismo dittatoriale. Si cercherà, immagino, una gestione più collegiale per fare convergere le diverse anime che sono sempre quelle interventiste e trattativiste”, ha spiegato.
Chi sarà l’erede di Riina: i papabili
Cupola o meno, sono tanti i nomi dei possibili eredi di Riina. Esclusi Pino Scaduto, capoclan del mandamento di Bagheria tornato di recente in carcere, e la moglie di Riina, Ninetta Bagarella, più per un fatto culturale che altro (nella mafia siciliana le donne non hanno alcun ruolo, a differenza per esempio della camorra), sono circa 300 i mafiosi tornati da poco in libertà. Antimafiaduemila ha elencato i maggiori nella sola area palermitana: Massimo Mulè, a Porta Nuova; Giuseppe Serio e Stefano Scalici a Tommaso Natale; Salvatore Sorrentino “lo studentino” a Pagliarelli; Francesco Sciarratta, alla Noce; Gaspare Parisi al Borgo Vecchio; Angelo Vinchiaturo e Maurizio Di Fede a Brancaccio; Vincenzo Di Maio, Antonino Tarantino e Antonino Caruso all’Acquasanta; Filippo Adelfio e Sandro Capizzi a Villagrazia. Uno dei papabili è quello di Giuseppe Guttadauro, capomafia di Brancaccio ed ex aiuto primario dell’ospedale Civico Giuseppe, ma il nome su cui tutti si stanno concentrando è Giovanni Grizzaffi, soprannominato “il Messia”; nipote prediletto di Riina, è stato scarcerato per fine pena lo scorso luglio.
Matteo Messina Denaro erede di Totò Riina?
Sulla carta, l’erede di Totò Riina dovrebbe essere Matteo Messina Denaro. Il latitante numero uno, il più ricercato in Italia, avrebbe tutte le carte in regola per guidare Cosa Nostra, ma su di lui ci sono grossi dubbi. Prima di tutto, è trapanese e difficilmente Palermo cederà lo scettro. In secondo luogo lo stesso Riina era contrario. Intercettato durante i colloqui in carcere con il boss della Sacra Corona Unita Alberto Lorusso, usò parole durissime contro “il latitante che fa pali eolici”, come lo definì. Messina Denaro ha ormai la fama di “quello che pensa solo a sé”, interessato ai suoi affari e alla latitanza più che alla conquista del potere. Infine, come ha spiegato Attilio Bolzoni, giornalista tra i maggiori conoscitori della mafia siciliana, a Meridionews, il boss di Castelvetrano “è l’erede finale della strategia stragista di Cosa nostra che ha portato alla rovina della mafia siciliana, la stessa che ha portato alla rovina della mafia siciliana”.