Con l’arresto, oggi, dopo 30 anni di latitanza, di Matteo Messina Denaro, boss di Cosa Nostra, sono rimasti quattro i super latitanti inseriti nel “programma speciale di ricerca” del gruppo Interforze. Uno appartiene al gruppo sardo dell’Anonima sequestri, uno alla mafia siciliana, uno alla camorra e l’altro alla ‘Ndrangheta.
Si tratta di Attilio Cubeddu, latitante dal 1997, Giovanni Motisi, ricercato dal 1998, Renato Cinquegranella, sulle cui tracce si lavora dal 2002, e Pasquale Bonavota, il più giovane di tutti, ricercato dal 2018.
Dopo trent’anni di ricerche, e a trent’anni esatti dalla cattura di Totò Riina, oggi, in una clinica di Palermo in cui era ricoverato sotto falso nome, è stato trovato e catturato il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Una gioia per tanti, dalla classe politica fino ad arrivare ai siciliani, una vittoria pure.
Trovato un super latitante, ne mancano all’appello ancora quattro. A parte il mafioso di Castelvetrano, infatti, sono quattro gli uomini che sono inseriti nell’elenco della Direzione centrale della Polizia criminale e sono ricercati dalle Interforze perché rappresentano un massimo pericolo.
Il primo è Attilio Cubeddu, nato ad Arzana, in provincia di Nuoro (in Sardegna), il 2 marzo del 1947 e facente parte dell’Anonima sequestri. Nel 1997, quando si trovava nel carcere di massima sicurezza di Badu ‘e Carros, è uscito per un permesso e non hai mai fatto ritorno. Dal 18 marzo del 1998 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali.
Ha preso parte ai sequestri Rangoni Machiavelli e Bauer in Emilia Romagna, quello Peruzzi in Toscana prima della latitanza e dell’arresto nel 1984, per cui avrebbe dovuto scontare 30 anni. Scappato, come già detto, è stato coinvolto nel sequestro di Giuseppe Soffiantini, e anche nell’omicidio di Samuele Donatoni, un poliziotto dei Nocs. È stato accusato, ma non formalmente incriminato né tantomeno condannato, anche per il sequestro di Silvia Melis, avvenuto nel 1997 in Ogliastra. Secondo alcuni sarebbe morto, ucciso dal suo complice Giovanni Farina, con cui non si sarebbe messo d’accordo per dividersi il bottino del sequestro dell’imprenditore del bresciano. La pista è poco credibile, però, e quindi è ancora tra i ricercati, da quasi 26 anni.
L’altro è Giovanni Motisi, detto ‘U Pacchiuni, il grasso, palermitano, nato il primo gennaio del 1959, e capo del clan dei Motisi, di Cosa Nostra. È ricercato dal 1998 per omicidi, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e altro, mentre dal 2002 è accusato anche di strage, e deve scontare la pena dell’ergastolo. Dal 10 dicembre del 1999, anche per lui, sono state diramate le ricerche in campo internazionale per arresto ai fini estradizionali.
Secondo il collaboratore di giustizia Calogero Ganci, Motisi, che prese il posto dello zio Matteo a capo dell’omonimo clan, era il killer di fiducia di Riina e partecipò anche alla riunione in cui si decise di assassinare il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Il terzo dei super latitanti ricercati, in ordine di tempo, è Renato Cinquegranella, nato a Napoli il 15 maggio del 1947, facente parte della camorra. Le sue tracce si sono perse il 6 ottobre del 2002, più di vent’anni fa, ed è accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione e altro. Anche per lui, come per i precedenti, è ricercato in campo internazionale per arresto ai fini estradizionali dal 7 dicembre 2018, e deve scontare l’ergastolo.
Sarebbe coinvolto nell’omicidio di Giacomo Frattini, un giovane affiliato alla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, ma secondo gli inquirenti sarebbe anche tra i colpevoli dell’omicidio del capo della Mobile Antonio Ammaturo e del suo autista, Pasquale Paola, avvenuto di fatto per mano delle Brigate Rosse, che lui aveva ospitato in casa sua.
L’ultimo dei quattro è Pasquale Bonavota, boss dell’omonimo clan della ‘Ndrangheta, nato a Vibo Valentia il 10 gennaio del 1974. È ricercato per associazione di tifo mafioso e omicidio aggravato in concorso dal 28 novembre del 2018, poco più di quattro anni fa.
Tra le attività della ‘ndrina di Sant’Onofrio e Stefanaconi, con esponenti anche a Torino, Carmagnola, Moncalieri e Roma, ci sono il traffico di droga, il riciclaggio di denaro, il traffico di armi, l’estorsione, l’usura, il racket, il contrabbando, la contraffazione, la ricettazione, il furto, la rapina, la frode, la truffa, l’evasione fiscale, gli appalti pubblici, il gioco d’azzardo, la gestione dei rifiuti, la corruzione, l’omicidio e le infiltrazione nella pubblica amministrazione.
Bonavota, secondo il processo Conquista che ha ricostruito l’organigramma dell’associazione, sarebbe il boss, mentre il fratello Domenico, in carcere dal 2008, sarebbe il capo dell’ala militare, e l’altro fratello, Nicola, assieme a Domenico Febbraro, Giuseppe Lopreiato e Onofrio Barbieri sarebbero affiliati.
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