Andare a prostitute è reato in Italia? Quali sono le sanzioni che si rischiano? Sulla prostituzione ci sono molte domande che non sempre trovano facile risposta anche nel nostro ordinamento giuridico. Il tema è molto delicato, ma di una cosa si può essere certi: praticare la prostituzione in Italia, tra persone adulte e consenzienti non è reato. Lo è invece tutto quello che è correlato e che va oltre la singola persona che decide di dedicarsi all’attività più antica del mondo: il favoreggiamento, l’induzione e lo sfruttamento della prostituzione, oltre ovviamente alla prostituzione minorile. Dalla maggiore età in poi è lecito nel nostro Paese praticare la prostituzione e chi ne usufruisce non commette alcun reato. Questo non toglie che il problema rimanga molto attuale: lungo le strade delle nostre città si vedono prostitute a ogni ora del giorno, le mafie gestiscono il traffico delle donne, mentre chi svolge l’attività nel chiuso di casa non ha alcun dovere nei confronti del fisco e i sindaci intervengono direttamente con ordinanze sulla pubblica sicurezza e decoro per frenare il fenomeno.
La prostituzione esiste dall’alba dei tempi e molte nazioni hanno deciso di renderla legale. Le leggi che la regolano cambiano da paese a paese e possono essere raggruppate in tre grandi blocchi: modello proibizionista, il modello abolizionista e il modello regolamentarista. L’Italia ha una legislazione abolizionista, come nella maggior parte degli stati europei: si punta cioè ad abolire il fenomeno (e quindi non lo si rende pubblico) ma senza punire a livello penale chi lo pratica. Vediamo il dettaglio.
La legge italiana sulla prostituzione
In Italia la prostituzione è regolamentata dalla legge 20 febbraio 1958, n. 75, meglio nota come Legge Merlin, dal nome della sua promotrice, la senatrice Lina Merlin del Partito Socialista. La legge vieta la prostituzione in forma strutturata, portando da subito alla chiusura delle case di tolleranza, allora gestite dallo Stato. La prostituzione non viene resa illegale in sé ma come attività gestita dallo Stato e dai privati: vengono vietate le condotte collaterali come il favoreggiamento, l’induzione, lo sfruttamento, la gestione delle cosiddette case chiuse, e la prostituzione minorile.
La Legge Merlin è stata aggiornata nel 1988 e nel 2011: nel 2008 c’è stato anche il decreto legge dell’allora ministra Mara Carfagna contro la prostituzione per le strade delle città, entrato nel pacchetto sicurezza. Il provvedimento è stato però bocciato dalla Cassazione per incostituzionalità per l’assegnazione dei poteri straordinari ai sindaci: il decreto stabiliva multe per gli automobilisti che si fermavano in strada dalle prostitute, ma potere decisionale veniva dato ai sindaci.
Secondo la Consulta, la disposizione viola diversi articoli della Costituzione, perché non prevede “una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello dell’imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati”, con la conseguenza che “gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci”.
Le soluzioni dei sindaci
Di fronte a un vuoto normativo che regoli la professione, i sindaci di tutta Italia hanno cercato soluzioni alternative per frenare il fenomeno, puntando sulla sicurezza e il decoro delle strade. In alcuni casi chiedono l’intervento degli assistenti sociali che cercano di aiutare le donne a uscire dalla spirale di violenza in cui spesso sono costrette.
Il fenomeno è tale che è difficile trovare una soluzione che possa funzionare dall’oggi al domani e così le amministrazioni si rivalgono però sui clienti, con ordinanze apposite che prevedono multe per i clienti.
Il caso forse più noto è quello dell’ex sindaco di Rimini, Alberto Ravaioli, che, a ridosso del decreto Carfagna, emise un’ordinanza per il periodo estivo (dal 25 giugno al 15 ottobre) in cui nella città romagnola si vietava “l’esercizio della prostituzione attraverso modalità suscettibili di turbare il comune senso del pudore, quali l’offerta di prestazioni sessuali – su area pubblica o privata soggetta a pubblico passaggio – con abbigliamento indecoroso e comportamento molesto – e il divieto nei confronti di chiunque di contattare, richiedere, accettare prestazioni sessuali”, pena la multa di 400 euro. Le multe iniziarono a fioccare ma la Corte Costituzionale bocciò decreto e ordinanza, portando la Procura a cancellarle: non ci sono reati da contestare perché i sindaci non hanno poteri in ambito penale, era la tesi dei magistrati.
Nell’agosto 2015 fu la volta di Paolo Riccaboni, sindaco di Spino d’Adda, in provincia di Cremona, che provò a giocare la carta della sicurezza stradale con un’ordinanza che obbligava le prostitute a indossare il giubbino catarifrangente di giorno, completato da pantaloni con bande catarifrangenti anche di notte.
In generale, le ordinanze dei sindaci poco possono fare contro un fenomeno così diffuso e finisco per fallire miseramente anche perché in Italia la prostituzione non è reato.
Cosa non è reato
La materia è comunque delicata perché riguarda un’attività che si intreccia con la morale e il senso del pudore: si tratta pur sempre di vendere prestazioni sessuali e le implicazioni sono molte a livello politico e legislativo.
Fermarsi da una prostituta per strada e usufruire dei suoi servizi non è reato in Italia, a patto di non farlo in pubblico: non lo è anche dare in affitto un appartamento a una prostituta, anche se decide di svolgere l’attività in casa, come ha stabilito la Cassazione. Diventa reato invece se si gestisce una casa dove vivono più prostitute e si riscuote il denaro delle loro prestazioni. Non è reato infine riaccompagnare la prostituta in strada: in questo caso la Cassazione ha chiarito che non si configura il reato di favoreggiamento, anche si riporta la persona in un luogo dove può di nuovo prostituirsi, in quanto non si è responsabili dell’attività della persona.
Cosa è reato
I reati legati alla prostituzione sono tutte quelle attività connesse e che non riguardano chi si prostituisce o chi usufruisce delle prestazioni, ma chi lucra: sono reati lo sfruttamento, l’induzione e il favoreggiamento della prostituzione, oltre alla prostituzione minorile.
Lo sfruttamento della prostituzione, o lenocinio, è il reato che si ha quando si trae vantaggio economico dall’attività di altre persone: in Italia è regolato sempre dalla legge Merlin, che ha sostituito i precedenti articoli da 531 a 536 del codice penale, e dalla legge 3 agosto 1998, n. 269.
L’induzione si ha quando si obbliga una persona alla prostituzione, con diversi metodi; il favoreggiamento si ha invece con ogni azione che rende possibile, più facile, sicuro e quindi più lucroso l’esercizio della prostituzione, di fatto agevolandola.
Tutti i reati sono aggravati quando si parla di prostituzione minorile, ossia quando la prostituta è al di sotto dei 18 anni: le pene sono rese ancora più pesanti quando il fatto è commesso ai danni di una persona che non ha compiuto 14 anni, se chi compie il reato è un parente diretto come padre, madre, fratelli e marito, se la persona è stata affidata in cura, educazione o vigilanza.