Lo scrittore Matteo Bussola si trovava su un treno regionale quando ha assistito a una scena che lui ha definito ‘un piccolo miracolo’. I protagonisti sono alcuni viaggiatori del treno: un ragazzo disabile in carrozzina, un uomo che lo insulta e lo offende, una donna che ammonisce l’uomo sgarbato per il suo comportamento. A quel punto, sottolinea Bussola, sarebbe potuto accadere il peggio, con i toni che si alzano, tutti che se la prendono con tutti, forse sarebbe potuto volare persino qualche schiaffo… Invece accade qualcosa a cui non siamo più abituati, e forse per questo la notizia ha destato tanta meraviglia, diventando virale.
Una vicenda che dovrebbe essere qualcosa di quotidiano e che invece è diventata virale sui social proprio perché non siamo più abituati a sentire che qualcuno ha il coraggio di ammettere di aver sbagliato.
Sì, perché la vicenda raccontata da Bussola finisce proprio con la richiesta di scuse da parte dell’uomo che aveva insultato il ragazzo disabile, e la sua ammissione di colpa: ‘Sono un imbecille’.
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Bussola scrive su Facebook:
“Sono su un treno regionale, sto andando a una presentazione del mio libro, fuori una pioggia obliqua cade contro i finestrini. Il treno ferma a una stazione di cui non leggo il nome, alla stazione sale un ragazzo disabile, lo portano su in tre. Il ragazzo è in carrozzina e ha il busto piegato in avanti da un’evidente malformazione. Lo spazio del vagone riservato alle carrozzine è occupato da due ingombranti valigie, il controllore dice a voce alta: ‘Di chi sono questi bagagli?!’ senza ottenere risposta, allora urla: ‘DI CHI SONO QUESTI BAGAGLI?!’ e d’un tratto un uomo sui cinquanta si volta da due sedili più avanti, il controllore lo vede e gli intima: ‘Li sposti subito, per piacere’.
L’uomo sui cinquanta si alza, va a prendere le valigie ma lamentandosi col controllore che insomma, è un’indecenza, sul treno i suoi bagagli nel vano apposito non ci stanno e ora lui dove li mette. Il ragazzo disabile, mentre legano la sua carrozzina con le cinghie, fissa l’uomo senza dire niente, non capisco se la sua disabilità gli impedisca di parlare o se sia, semplicemente, stanco, di quel tipo di stanchezza di chi è purtroppo abituato ad assistere a reazioni come quella. Il controllore si avvicina all’uomo, gli dice che, dato che i vani sono piccoli, se vuole può mettere i suoi bagagli sui due sedili vuoti avanti a sé. È a quel punto che l’uomo si lascia sfuggire la frase, a bassa voce. *Perché questi non se ne stanno a casa invece di andare in giro*, dice.
Lo sentiamo io e una signora sui settanta seduta di spalle. Io mi sto sforzando di fare respiri profondi perché sto seriamente pensando di alzarmi e andare a mettergli le mani addosso. La signora sui settanta invece si alza, si volta, si piazza davanti all’uomo, gli dice: ‘Lei si dovrebbe vergognare, perché non se ne sta a casa lei invece di andare in giro e costringerci a sentire le sue sciocchezze!’
L’uomo guarda la signora da sotto in su, ha l’espressione di un bambino che è appena stato sgridato dalla madre. Sto per intervenire e rincarare la dose quando: ‘Ha ragione’, dice l’uomo all’improvviso. ‘Mi scusi, scusatemi tutti, sono stanchissimo e ho proprio esagerato’. Un istante dopo l’uomo si alza, va verso il ragazzo disabile, si ferma davanti a lui. ‘Scusami davvero’, dice, ‘sono un imbecille’. Il ragazzo alza gli occhi. ‘Tranquillo’, gli dice. ‘Da quello se vuoi si può guarire’.
L’uomo sembra sorpreso dalla risposta, il viso gli si apre in un sorriso, il ragazzo sorride anche lui. Si presentano, cominciano a parlare. Il ragazzo si chiama C., è un ingegnere informatico. L’uomo si chiama S., è un metalmeccanico pendolare. Abitano a neanche dieci chilometri e non si erano mai incontrati. Oggi invece si sono *visti*, che mi pare una cosa assai più importante. Io guardo fuori dal finestrino, ascolto le loro storie a intermittenza, penso che questa situazione sarebbe potuta finire in tanti modi diversi e invece ho appena assistito a un piccolo miracolo. E mi viene in mente che per avvicinare gli esseri umani sarebbero sufficienti quasi sempre tre sole cose: un calcio in culo al momento giusto – da chi si assume la responsabilità di dartelo -, la capacità di chiedere scusa, un sorriso ricambiato. Basterebbe poco, davvero. Basterebbe ricordarselo”