Per una volta non siamo nelle ultime posizioni in Europa: rispetto ad altri campi dell’ecologia e della sostenibilità ambientale, nel settore della chimica verde risultiamo essere tra i Paesi più innovativi e all’avanguardia. Se ne è accorta anche l’Unione Europea, che attraverso la partnership della Bic, Bio-Based Industries Joint Undertaking, ha deciso di finanziare con 17 milioni di euro a fondo perduto la ricerca Novamont sulle bioraffinerie. Il nostro Paese grazie a quest’azienda si è classificata ai primi posti, battendo le proposte olandesi e tedesche.
Il progetto finanziato dalla comunità europea è stato sviluppato a Porto Torres, in Sardegna, più precisamente nello stabilimento di Matrica, dove sono già stati investiti oltre 300 milioni di euro: l’idea della Novamont, denominata First2run, si prefigge di dimostrare la sostenibilità tecnica, economica e ambientale dell’uso di colture su scala industriale che non necessitano di pesticidi e nemmeno di irrigazione, per estrarre oli vegetali da utilizzare come materia prima per biolubrificanti, cosmetici e bioplastiche. La filiera produttiva prevede inoltre di ottenere anche mangimi animali, energia rinnovabile ed altri prodotti chimici: un progetto ecosostenibile al 100 per cento, che ha favorevolmente colpito i finanziatori europei, tanto da preferirlo a quello di altre aziende continentali.
Come materia prima per il progetto pilota è stato scelto il cardo, una pianta povera che ha pretese modeste, ed è in grado di crescere anche su terreni marginali o da bonificare: basta solo un po’ di acqua piovana senza l’aggiunta di fertilizzanti o fitofarmaci per coltivarla. Spiega Catia Bastioli, amministratore delegato Novamont: ‘La bioraffineria è un concetto che rivoluziona il quadro economico e ambientale perché permette di adoperare materie prime povere, che non entrano in competizione con la sfera alimentare, in un ciclo di produzione a cascata in cui si utilizzano via via gli scarti della lavorazione precedente. In questo modo si ricavano consistenti benefici economici e ambientali arrivando alla produzione di energia solo alla fine del ciclo di uso della materia. Inoltre si dà una grande spinta all’occupazione: per ogni mille tonnellate di bioplastica si possono creare 60 posti di lavoro‘.
Il prossimo passo prevede l’estensione degli attuali 500 ettari finora utilizzati a ben 3500, per un progetto tanto innovativo quanto potenzialmente redditizio: secondo le stime ufficiali il settore della bioeconomia in Europa ha un volume d’affari di duemila miliardi di euro, e offre lavoro a oltre 22 milioni di persone. Vale la pena scommettere su questo progetto, soprattutto in un Paese dove la ricerca è spesso sottostimata dalle istituzioni, e la fame di lavoro atavica.
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