Il vicepresidente della Camera in quota Forza Italia, Giorgio Mulè, oggi, dalle pagine di Repubblica lancia la sua bomba. “Giorgia Meloni ci ha delusi”, ha iniziato il deputato, poi l’affondo su Antonio Tajani, che ricopre le cariche di vicepremier, ministro degli Affari esteri, probabilmente quello di capo delegazione al governo, ma è anche coordinatore nazionale del gruppo azzurro, tutto in pratica.
E quindi un problema interno al partito che c’è, è inutile nasconderlo. C’era quando si sono insediate le due Camere e quando si sono votati i due presidenti, specialmente c’è stato al Senato. C’è stato dopo, quando sono usciti gli audio “rubati” di Silvio Berlusconi, il numero uno dei forzisti. C’è stato nei 26 giorni di formazione del governo, e c’è anche ora che l’esecutivo ha giurato e si è insediato.
Il centrodestra è riuscito in nemmeno un mese a formare il governo, quasi un’impresa considerati i precedenti – chiedere al MoVimento 5 stelle che nel 2018 ci ha messo quasi tre mesi per trovare prima gli alleati e poi per proporre una squadra convincente al capo dello Stato -, dimostrando una solidità interna che, però, a leggere i giornali e anche molte dichiarazioni pubbliche è più apparente che sostanziale.
E anche dopo le consultazioni lampo da Sergio Mattarella, quelle faccette di Silvio Berlusconi (e in misura minore Matteo Salvini) mentre Giorgia Meloni parlava tradivano una certa insofferenza, che Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera e deputato forzista, ha tradotto in parole in un’intervista a Repubblica.
“Non ci sentiamo né sfregiati, né umiliati – ha iniziato parlando delle trattative che hanno portato Forza Italia ad arretrare sulla Giustizia e anche su Licia Ronzulli -. Ma ha provocato disappunto l’atteggiamento di Meloni“. È stata la presidentessa del Consiglio nei fatti ad avere l’ultima parola su praticamente tutto e la cosa non è passata inosservata a nessuno.
Questo non minerà, non al momento, la tenuta di un esecutivo che dovrà affrontare parecchie sfide in un’epoca piuttosto difficile, ma rende evidente che su alcuni provvedimenti ci sarà da discutere molto di più che su altri. Con lo spettro, anche, di cambi di casacca che potrebbero fare male specialmente ai forzisti.
Perché il problema principale, al di là del comportamento della prima premier donna della storia italiana, è il quasi spaccamento all’interno del gruppo azzurro. Un fronte governista, un altro scettico, uno più fedele ad Antonio Tajani, coordinatore nazionale e ora anche vicepresidente del Consiglio, e l’altro alla senatrice che per giorni è stata il vero seme della discordia tra i due alleati.
Mulè, su questo, è stato chiaro: non c’è tanto bisogno di un Congresso alla Pd per mettere a tacere i mal di pancia che ci sono stati e che sono dovuti, ha spiegato, a molti che hanno “messo sul tavolo esperienze, storie personali, legittime aspirazioni che sono state trascurate“, c’è piuttosto la necessità di riprendersi i territori. E di cambiare qualcosa. A cominciare da chi ha più cariche, come il titolare della Farnesina e anche la ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini.
Sia Tajani, sia l’ex capogruppo al Senato, infatti, hanno un posto nell’esecutivo, ma sono anche dei pezzi grossi nel partito del Cavaliere e, secondo il deputato, dovrebbero riflettere se lasciare qualcosa anche agli altri, altrimenti probabilmente ci penserà Berlusconi a indicare “la nuova formula di Forza Italia“, d’altronde è lui che “ci ha portato all’8%, lui ci ha fatto andare al governo“.
Tornando, però, ai dissidi interni, che comunque l’ex premier potrebbe appianare, il giornalista di Repubblica ha chiesto al vicepresidente della Camera se “con i capigruppo ronzulliani“, Forza Italia non possa diventare la “spina nel fianco del nuovo governo“. La risposta di Mulè è stata quasi evasiva, a differenza delle altre, perché ciò di cui si occuperanno non è altro che fare “i guardiani dell’attuazione di un programma” prima sulla crisi energetica, ma che poi “deve muoversi subito anche su un binario riformista“.
Su questo, ha precisato, non ci dovrebbero essere dei problemi perché “la riforma della giustizia civile e penale, la separazione della carriere, nuove norme del Csm, delegificazione” sono tutte priorità non solo per i forzisti ma per tutto il centrodestra.
Quanto, poi, alla collocazione dell’Italia, ma soprattutto di Berlusconi, nel mondo – atlantismo o putinismo, per semplificare – non c’è da temere, ha detto. Le parole pronunciate dal Cav durante l’Assemblea alla Camera con i deputati e non di Forza Italia sono state travisate e di certo lui, come tutto il partito, non si sono schierati contro l’Ucraina, piuttosto il leader azzurro “soffre nel vedere un Vladimir Putin diverso da quello conosciuto 20 anni fa“. E anche il suo discorso al Senato, per la fiducia al nuovo governo, sarà “alto e nobile“.
Così come è alto e nobile anche Valentino Valentini, ex deputato non eletto di Fi, che potrebbe invece diventare sottosegretario agli Esteri e che potrebbe creare nuovi problemi con Meloni a Berlusconi perché considerato un filo-russo. “È apprezzato dagli Usa a Israele – ha concluso -, dalla Russia al Medio Oriente. Aveva rapporti con l’ambasciata di Mosca, è vero, ce li ha ancora? Io so solo che ha qualità e cultura per svolgere un eccellente compito alla Farnesina“.
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