La Cina nel 2022 ha visto diminuire la sua popolazione per la prima volta in 60 anni. Questo potrebbe costituire un problema serio per l’economia del Paese e quindi il governo sta cercando di porre rimedio ai “danni” che sono stati fatti negli ultimi decenni. Nel frattempo, Sichuan – una provincia situata nel sud-ovest, che conta da sola circa 80 milioni di abitanti – ha deciso di prendere le redini della situazione e di trovare una soluzione autonoma, eliminando ogni limite alle nascite.
La Cina oggi rischia di fare la fine del Giappone, che ha registrato il suo livello più basso di nascite degli ultimi 50 anni, se non fa qualcosa immediatamente per ovviare a questo problema. Lo scorso anno il Paese si è reso conto che stava pagando il prezzo delle politiche del figlio unico e così oggi alcune regioni stanno iniziando ad agire in modo indipendente per potersi risollevare e determinare un incremento delle nascite. Tra queste vi è Sichuan (ma non solo).
Se pensate che l’Italia non sia un Paese per giovani, pensate che c’è sempre chi sta peggio di voi. Come la Cina, in cui in pratica i giovani sono destinati a non esistere affatto.
Facendo un rapido excursus di quella che potremmo definire la corsa asiatica verso la diminuzione della popolazione (che poi alla fine gli si è ritorta contro, ma questa è un’altra storia), nel Paese è stata introdotta la politica del figlio unico decenni fa. Questa pratica affonda le sue radici nel 1979, quando in pratica – reduce dalle politiche opposte di Mao Tse-tung, che voleva promuovere un alto tasso di natalità – la Cina accoglieva un quarto della popolazione mondiale, ma aveva a disposizione solo il 7% della superficie coltivabile e inoltre circa due terzi della popolazione era under 30.
Fu allora che il governo di Deng Xiao Ping varò un programma di riforme di mercato che avrebbe ovviato al problema della stagnazione economica e intraprese un vero e proprio controllo della natalità su tutto il territorio nazionale. Nacque così la politica del figlio unico, che negli anni però ha subito non poche modifiche: inizialmente – nel ’79 appunto – fu attuata una legge che vietava letteralmente alle coppie di avere più di un figlio, ma questa ben presto fu modificata e negli anni ’90 furono introdotte delle sanzioni pecuniarie, finché poi, nel 2013 precisamente, la politica del figlio unico non fu abolita dalla Corte Suprema cinese, fermo restando che dal terzo figlio in poi sono rimaste intatte le multe fino al 2021, quando invece alle coppie sposate è stato concesso avere anche tre figli senza dover incorrere in alcuna sanzione.
Arriviamo al 2022. La Cina si è resa conto di aver pagato a caro prezzo tutto questo iter: il prezzo è stata la diminuzione della popolazione, che rappresenta un unicum negli ultimi 60 anni. E no, non parliamo affatto di un calo improvviso, ma di una decrescita abbastanza preoccupante, tanto da meritare delle contromisure pensate ad hoc, che però ad oggi non hanno portato ad alcun risultato. Sarà forse che la politica del figlio unico è rimasta in piedi per troppi anni? Chiediamo per un amico ovviamente.
In ogni caso, adesso il passaggio dal figlio unico, ai due e poi ai tre non basta più. E così Sichuan, una provincia situata nel sud-ovest del Paese che conta circa 80 milioni di persone oggi ha deciso di prendere in mano la situazione e di dire basta al controllo della nascite.
Sichuan in pratica ha deciso di eliminare ogni veto e ogni limite alla prole, che sarà esteso anche alle coppie non sposate (e questo rappresenta un’altra vittoria perché fino ad ora le donne single non potevano in alcun modo registrare una nascita). Questo è in realtà solo una conseguenza diretta e “naturale” – a differenza della politica dei figli unico, rimasta per anni una pratica controversa perché ha causato spesso negli anni abusi dei diritti umani – dell’inarrestabile calo della natalità registrato lo scorso anno. Basti pensare che per la prima volta nel 2022 le morti sono state superiori alle nascite. E questo chiaramente non è affatto un buon segno. Secondo le proiezioni meno ottimistiche dei demografici, il rischio è questo: oggi la Cina conta 1,4 miliardi di abitanti, ma potrebbe averne solo 587 milioni nel 2100. E c’è una bella differenza chiaramente.
E allora Sichuan ha pensato bene di introdurre questa nuova misura che, come ha dichiarato la Commissione sanitaria locale, entrerà in vigore a partire dal 15 febbraio e resterà intatta per cinque anni. Sulla sua scia, poi, si sono inserite altre città e province. Un esempio è costituito da Shenzhen, che ha deciso di offrire una sorta di “bonus nascita” e di elargire assegni a ogni famiglia finché ogni figlio compie tre anni. Allo stesso modo nella provincia di Shandong i giorni di maternità sono stati allungati arrivando a 158 giorni (cio+ 60 in più rispetto alla media nazionale).
In pratica il governo sta completamente invertito la rotta e ha deciso di tornare indietro nel tempo, ai tempi di Mao Tse-tung la cui politica si rifaceva in un certo senso a un detto di Confucio che recitava così: “Più bambini significa più felicità, i bambini avuti portano presto la felicità” e che quindi si basava su forti politiche a favore della natalità, tra cui sussidi per i bambini.
Oggi, per uno strano caso del destino, il presidente cinese Xi Jinping ha azzardato una mossa molto simile, alla luce del fatto che per lui l’aumento dei tassi di natalità attualmente è una priorità: ha infatti offerto agevolazioni fiscali e una migliore assistenza sanitaria alle madri. Questo è avvenuto per un motivo molto semplice: negli anni ’70 – quando cioè la politica del figlio unico fu introdotta – si pensava che un eccessivo aumento della nascite potesse portare a una decrescita economica, mentre oggi si teme che avvenga l’esatto contrario e cioè che l’invecchiamento della popolazione e il mancato cambio generazionale possa non giovare affatto alle finanze del Paese. Del resto, finché mancheranno i giovani mancherà la forza lavoro, i pensionati non potranno essere sostituiti e i posti di lavoro saranno vuoti perché nessuno potrà occuparli.
In sostanza, se la Cina non cambia il prima possibile le carte in tavola rischia di finire come il Giappone, che ha registrato il suo livello più basso di nascite degli ultimi 50 anni, destando non poche preoccupazioni nel primo ministro, Fumio Kishida, che ha annunciato di voler addirittura raddoppiare la parte di spesa pubblica destinata ai programmi relativi all’infanzia e di voler creare ad hoc, per assecondare questa sua volontà, un’apposita agenzia governativa incaricata e ha poi espressamente detto ai legislatori: “Il Giappone è sul punto di non poter continuare a funzionare come società. Dobbiamo focalizzare l’attenzione sulle politiche riguardanti l’infanzia e l’educazione dei figli: è un tema che non può aspettare e non può essere rimandato”.
Come ha affermato in un’intervista rilasciata a Vanity Fair Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, parlando della scelta della Cina di inserire la riforma illo tempore e di quello che è accaduto negli anni: “Allora la Cina superava il miliardo di persone, con gli under 25 che erano il 55% della popolazione e gli over 65 che non arrivavano al 5%. Questa scelta ha rallentato la crescita fermandola a un miliardo e mezzo. Non basta dire: “Potete fare figli”. Servono misure di sostegno in particolare nelle grandi città dove aspettative e stili di vita sono simili a quelli del mondo occidentale. Su questo è ancora sguarnita”.
Secondo Rosina, in pratica, oggi non bastano le iniziative prese, perché bisognerebbe anche essere in grado di rendere le città a misura di bambino prima e di ragazzo poi, in tutti i sensi. Il problema, in sostanza, è che per risolvere il vecchio problema il Paese ne ha creato uno nuovo e quindi oggi si trova a combattere con un nuovo problema che ha sostituito il vecchio, ma che non è meno grave di quest’ultimo, anzi forse lo è ancora di più (e scusate il gioco di parole).
Da qualunque punto di vista guardiamo questo quadro, insomma, presenta non poche crepe e ormai potrebbe essere tardi per risanarle. Di sicuro, però, per farlo la Cina si dovrà impegnare molto di più, perché quello che sta facendo non sembra essere sufficiente.
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