Il rapporto tra Cina e Taiwan è deteriorato notevolmente negli ultimi mesi dove, entrambe le nazioni si sono rese protagoniste di un’escalation militare dimostrativa, che non ha fatto altro che portare a un livello superiore i dissapori già esistenti. Jinping sembra pronto, ora, a dire addio alla politica ‘un paese, due sistemi’ dopo il fallimento visto ad Hong Kong e questo ha, ovviamente, generato apprensione tra le autorità di Taipei.
Il punto di rottura più recente tra il governo cinese e il governo taiwanese è stata la visita di Nancy Pelosi a Taiwan ad agosto 2022. Incontro che non era previsto nel calendario ufficiale degli incontri previsti nel tour asiatico della funzionaria Usa, che ha generato malcontento e nervosismo a Pechino. Va precisato infatti che, nonostante a Taiwan sia stato concesso di avere una propria autonomia istituzionale e governativa rimane in ogni modo per la Cina una provincia ribelle, che è comunque sotto il dominio territoriale cinese. L’intromissione statunitense, all’interno di questioni che sono ritenute strettamente interne al Paese, ha infastidito Jinping che nel suo discorso, dopo aver assunto a pieni poteri e per la terza volta la carica di presidente cinese, ha precisato che la questione Taiwan sarà una delle prime che verranno trattate e la dimostrazione militare attorno all’isola ne è stata una piena e concreta dimostrazione.
Il capo di Stato ha incaricato Il suo braccio destro Wang Huning di elaborare una nuova politica per la riunificazione di Taiwan. Decisione presa alla luce di quanto accaduto a Hong Kong ovvero lo scarso rendimento della politica sopracitata. Il leader cinese vuole creare un nuovo orientamento ma cercando di mantenere calmi gli animi e senza favorire le forze di Taiwan contrarie a Pechino.
La politica cinese ‘un paese, due sistemi‘ nasce nel 1979 si tratta di un sistema economico e politico che è stato ideato per le province cinesi distaccate per cause politiche, storiche e geografiche. Per esempio per province staccate cinesi come per esempio Hong Kong, che è stato sotto il dominio del Regno Unito per molto tempo, ma anche nel nostro caso specifico nella provincia di Taiwan. Sostanzialmente la legislatura rimane quella di Pechino e a tutti gli effetti si tratta di una predominanza geopolitica e appartenenza territoriale cinese ma nella quale viene concesso al Paese una propria autonomia governativa e organizzativa.
In poche parole, vede la Cina esercitare un’unica sovranità in tutto il territorio all’interno dei confini e, soprattutto, si impone come unico soggetto politico, ma concede ad alcuni territori, che rimangono sotto controllo politico di Pechino, di potersi amministrare in maniera autonoma dando loro, inoltre, la possibilità di avere istituzioni proprie e un sistema economico differente.
È una formula politica utilizzata in territori come Macao, Hong Kong e ovviamente Taiwan. In realtà il governo di Taipei ha una linea differente dalle altre provincie, dove è stata attuata questa metodologia, in quanto è obbiettivamente più autonoma e riconosciuta dalle autorità internazionali in maniera differente rispetto alle altre aree.
La politica condivisa tra Cina e Taiwan ha preso strade differenti dato il percorso storico di Taipei, che ha assunto usanze e cultura differente pur mantenendo anche la cultura tradizionale che nell’evolversi della società si è mischiata con le contaminazioni nipponiche e occidentali, che hanno forgiato una nuova e propria identità personale. Nonostante Taipei abbia il supporto di alleati importanti come gli Stati Uniti e di questo si faccia scudo non ha intenzione di portare avanti un conflitto ma nonostante ciò vuole mantenere la sua autonomia e le recenti esternazioni di Jinping in merito alla riunificazione hanno sollevato molto nervosismo.
Anche le autorità internazionali hanno alzato l’asticella di osservazione in merito alla questione, dato che le parti coinvolte sono diverse e ne va anche, di conseguenza, di dinamiche economiche e commerciali non di poco conto a livello globale. Dopo la presa di posizione degli Stati Uniti verso la questione dei chip, dei quali Taiwan è fiorente, che ha cercato di estromettere la Cina dal mercato e ha effettivamente stoppato sotto questo aspetto la potenza asiatica, ma dato la pressione subire la questione economica di Taipei ha ripreso una posizione primaria per le autorità cinesi.
Il capo di stato cinese Jinping vuole una nuova politica per Taiwan che vada a stabilire una linea sociale ed economica da seguire in futuro. L’intenzione è quella di andare a sostituire l’attuale piano seguito ovvero “un Paese, due sistemi” che è stato contestato, ma anche altamente voluto da esponenti che da tempo pressano per l’unificazione dell’isola con la Cina continentale.
Secondo una fonte interna al Partito comunista cinese intervistata da Nikkei Asia, il capo di stato cinese ha dato incarico a Wang Huning di definire un nuovo piano “teorico” per le relazioni tra Pechino e Taiwan. Una ridefinizione delle modalità di cooperazione e sviluppo, che vadano di pari passo e riescano a portare ad un unico sistema economico e politico.
Wang è un alleato di Jinping ed è parte del Comitato permanente e stando alle previsioni dei media locali a marzo potrebbe diventare il nuovo capo della Conferenza politica consultiva del popolo cinese. Una posizione di rilievo all’interno di un organo che getta le basi e elabora strategie di fondo del regime.
Lo scarso risultati emerso della formula “un Paese, due sistemi” applicata ad Hong Kong sarebbe stata la leva che ha spinto Xi a pensare a un cambio di rotta. Sembra emergere un chiaro desiderio di Jinping di adottare una propria linea politica su Taiwan così da fare emergere, anche, la sua autorevolezza a livello globale.
Non è chiaro ancora se Pechino si orienterà verso una maggiore collaborazione con Taipei o se verrà invece attuata una politica dura, che punta alla repressione dei contrasti militarmente.
Questa nuova base teorica, che dovrà essere prodotta da Wang, servirà anche come test per capire come verrà recepita la novità dal governo di Taiwan e, se e quanta, opposizione verrà attuata. Questo farà anche da metodo di misura per valutare la situazione e decidere su un possibile intervento militare
Tsai Ing-wen, leader del Partito democratico progressista, ha sempre affermato di essere disposto al dialogo con la Cina, ma non sue questo riguarda la politica “un Paese, due sistemi”. La presidente taiwanese è vista come una leader indipendentista da Pechino, che come citato anche sopra ritiene Taipei “una provincia ribelle” da riconquistare.
Gli esperti di politica hanno dichiarato che sarà essenziale per Jinping muoversi nelle tempistiche giuste dato che a gennaio 2024 si terranno le elezioni presidenziali a Taiwan. Se la nuova linea di Wang fosse dura e imperativa, la diffusione pubblica del piano potrebbe creare dinamiche elettorali, sulla base delle quali un esponente o candidato politico alle presidenziali di Taiwan, otterrebbe voti soprattutto in base all’appoggio o all’opposizione mostrata verso la questione.
Oltre ad ogni previsione o teorie possibiliste resta il fatto concreto che Pechino dovrà comunque scontrarsi nella realtà con la volontà dei taiwanesi che si sentono sempre meno legati alla Cina. Questo emerge anche dai sondaggi che già nel 2020 riflettevano che il 66% della popolazione di Taiwan non era favorevole a retrocedere dalla propria indipendenza.
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