Il Codice Ong non piace alle ong: solo 3 su 10 hanno firmato per accettare il codice di condotta stilato dal Viminale. L’incontro avvenuto il 31 luglio fra rappresentanti delle ong e ministro dell’Interno Minniti serviva per mettere a punto gli ultimi dettagli e soprattutto alla firma per accettazione da parte delle ong di 13 vincoli necessari per poter operare nel Mediterraneo in sintonia con le richieste del governo italiano. Il primo risultato è che non tutte hanno firmato. Pesa infatti il no di big come Medici Senza Frontiere che ha mandato una lettera ufficiale al ministero. “Dal nostro punto di vista, il Codice di Condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso“, spiega MSF. Non ha firmato anche la tedesca Jugend Rettet. Hanno invece ratificato l’accordo Migrant offshore aid station – Moas e Save the children, mentre Proactiva open ha fatto sapere che firmerà. Cosa sta succedendo?
Facciamo prima un passo indietro per inquadrare la vicenda del codice di condotta per le Ong. La richiesta di regole per gli interventi delle organizzazioni umanitarie nei salvataggi in mare sulle rotte dei migranti è stata l’unica concessione ottenuta dall’Italia in occasione dell’ultimo incontro a Tallin sul tema migrazione, quando il nostro Paese aveva chiesto maggiore cooperazione europea per la gestione dei flussi migratori in arrivo dal Nord Africa.
L’unico sì è stato la redazione di un documento valido a livello europeo, anche se stilato dal Viminale, per le Ong che operano nel Mediterraneo. Gli altri punti (aperture dei porti in altri paesi, redistribuzione delle quote, apertura del corridoio nei Balcani o sanzioni ai Paesi che hanno chiuso i confini e altri) sono stati cassati dall’UE che anzi ha ribadito la valenza del trattato di Dublino per cui è il paese di primo approdo quello che deve gestire il tutto.
[npleggi id=”https://www.nanopress.it/mondo/2017/07/04/che-differenza-c-e-tra-immigrati-e-rifugiati-politici-e-tra-migranti-economici-e-profughi/89189/” testo=”Rifugiati, profughi e migranti economici, quali sono le differenze?”]
Da qui anche lo stanziamento di 46 milioni di euro da parte dell’Unione Europea all’Italia, allo scopo di rinforzare le capacità di controllo dei confini e la gestione dei flussi migratori in partenza per lo più dalla Libia.
Perché un codice di condotta delle Ong?
Il codice Ong è stato voluto a seguito delle polemiche sui cosiddetti “taxi del mare” e i presunti rapporti tra Ong e scafisti.
Il traffico di essere umani non è nato negli ultimi mesi, anzi è da sempre una delle piaghe dell’immigrazione irregolare: in mancanza di possibilità legali, chi fugge dal proprio Paese – per mille motivi diversi – ha sempre trovato criminali pronti a sfruttare la disperazione per superare ogni confine, anche via mare.
Le recenti polemiche sono soprattutto politiche, perché nascono dai numeri degli arrivi registrati in Italia, saliti di circa il 14% rispetto allo scorso anno: come abbiamo già spiegato, Frontex non ha mai accusato le Ong di trattare con gli scafisti, ma l’immigrazione è un tema perfetto per la politica in cerca di facili consensi.
Il problema reale è l’intreccio tra malavita e traffico di esseri umani, in particolare da parte dei gruppi criminali libici e delle mafie nostrane che sfruttano e si arricchiscono sulla pelle dei migranti in assenza di una politica migratoria comune.
Il caos della Libia, divisa tra Est e Ovest con due governi – quello di Fayez al Serraj, primo ministro del governo libico di unità nazionale con sede a Tripoli e riconosciuto a livello internazionale dall’Onu, e quello che fa capo a Khalifa Haftar, generale dell’Esercito fedele al parlamento di Tobruk ed è riconosciuto da Egitto, Russia e ora anche dalla Francia di Emmanuel Macron – ha incancrenito una situazione già incandescente di cui le Ong hanno pagare il prezzo più alto, soprattutto mediatico.
Codice di condotta delle Ong, i punti
[didascalia fornitore=”ansa”]Il ministro Minniti al tavolo di lavoro a Tallin[/didascalia]
Cosa dice di preciso il codice Ong? Si tratta di un codice di tredici regole, redatto dal ministero dell’Interno per le Ong che operano i salvataggi in mare: la versione definitiva è uguale alla prima versione, con solo poche modifiche nei punti più contestati dalle organizzazioni no profit. Eccoli:
1. PRESENZA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA A BORDO DELLE NAVI: è il punto più contestato che ha portato al no di MSF. Il codice infatti prevede la presenza “a bordo, per il periodo strettamente necessario, su richiesta delle autorità nazionali competenti, di ufficiali di polizia giudiziaria” per raccogliere informazioni e prove finalizzate alle indagini sul traffico di esseri umani, “senza recare ostacolo alle attività umanitarie“. Le Ong chiedevano che gli agenti fossero senza armi, cosa che è stata respinta.
2. DIVIETO DI TRASBORDO: altro punto molto contestato è quello che vieta il trasbordo dei migranti su altre navi e l’obbligo di portare a terra le persone salvate. L’unica eccezione concessa è quella “per i casi richiesti dal competente MRCC” (il Centro di coordinamento marittimo) e “sotto il suo coordinamento“.
3. NO ACQUE LIBICHE: il codice Ong prevede che le navi non entrino nelle acque libiche “salvo in situazioni di grave e imminente pericolo che richiedano assistenza immediata” e che non ostacolino “l’attività di Search and rescue – ricerca e salvataggio ndr – da parte della Guardia costiera libica“.
4. FINANZIAMENTI TRASPARENTI: il codice Ong comporta la dichiarazione “alle autorità competenti dello Stato in cui l’Ong è registrata“, di “tutte le fonti di finanziamento per la loro attività di soccorso in mare e a comunicare, su richiesta, tali informazioni alle autorità italiane nel rispetto dei principi di trasparenza“.
5. TRANSPONDER SEMPRE ACCESI: le navi Ong non dovranno spegnere o ritardare “la regolare trasmissione dei segnali Ais (Automatic identification system) e Lrit (Long range identification and tracking)” che permette di identificare la loro posizione.
6. NIENTE SEGNALAZIONI PER LE NAVI IN PARTENZA: non si potrà “effettuare comunicazioni o inviare segnalazioni luminose per agevolare la partenza e l’imbarco di natanti che trasportano migranti, fatte salve le comunicazioni necessarie nel corso di eventi Sar“.
7. AGGIORNARE LA MARINA ITALIANA: le Ong dovranno obbligatoriamente “tenere costantemente aggiornato il competente MRCC“, cioè il centro di coordinamento della Marina italiana, e cooperare “eseguendo le sue istruzioni ed informandolo preventivamente di eventuali iniziative intraprese autonomamente perché necessarie ed urgenti“.
8. COMUNICARE CON LO STATO BANDIERA: le comunicazioni sulle attività della nave dovranno essere inviate anche alle “competenti autorità dello Stato di bandiera”.
9. ATTESTATO DI IDONEITA’: Le Ong dovranno avere certificati di “idoneità tecnica, relativa alla nave, al suo equipaggiamento e all’addestramento dell’equipaggio, per le attività di soccorso“.
10. SOCCORSI IN AREE PARTICOLARI: in caso di soccorsi in zone fuori da quelle di ricerca, le navi dovranno avvisare il proprio Stato di bandiera.
11. COOPERAZIONE NEGLI SBARCHI: la cooperazione con le autorità competenti dovrà essere garantita anche nel luogo di sbarco.
12. RECUPERO DELLE IMBARCAZIONI: “una volta soccorsi i migranti e nei limiti del possibile“, le Ong dovranno recuperare le imbarcazioni e i motori fuoribordo usati dai trafficanti di uomini.
13: INFRAZIONI PER CHI NON FIRMA: la mancata adesione al codice o la sua inosservanza potrà “comportare l’adozione di misure da parte delle autorità italiane nei confronti delle relative navi, nel rispetto della legislazione internazionale e nazionale, nell’interesse pubblico di salvare vite umane“.
Perché Msf ha detto no
“In nessun Paese in cui lavoriamo accettiamo la presenza di armi, ad esempio nei nostri ospedali“. Basterebbe questa affermazione di Gabriele Eminente, direttore generale di Msf, per spiegare il no al codice Ong. In realtà, la mancata adesione è stata formalizzata con una lettera ufficiale inviata al ministro Marco Minniti (che trovate qui in versione integrale) in cui si spiegano le motivazioni.
In sintesi sono tre i punti contestati perché la maggior parte delle Ong già segue moltissime delle regole del codice, come ha sottolineato il direttore generale di Save the Children, Valerio Neri.
Il primo è la presenza degli agenti armati a bordo delle navi, punto su cui il codice di MFS è rigidissimo (niente armi all’interno delle sue strutture anche in zone di guerra).
Il secondo è relativo al divieto di trasbordo: costringendo a far sbarcare ogni nave, si toglierebbero i mezzi di soccorso nelle zone a rischio per troppo tempo.
Il terzo è più generico e riguarda la politica migratoria. Il codice “non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare“, si legge nella lettera.
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