Collaboratori di giustizia: la tragedia di mogli e figli

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«Donne e bambini non si toccano». La leggenda vuole che sia questa una delle regole, una delle poche, della criminalità organizzata italiana. Oramai sappiamo che non è così, e non da oggi. Già nel maggio del 1982 Raffaele Cutolo, fondatore della Nuova Camorra Organizzata, fece uccidere Simonetta Lamberti, una bambina di appena 11 anni “colpevole” soltanto di essere la figlia del giudice Alfonso Lamberti, Procuratore di Sala Consilina. Lo Stato, invece, come si comporta nei confronti di donne e bambini innocenti?

La grave e pericolosa situazione a cui devono far fronte i collaboratori di giustizia, quei criminali che decidono di pentirsi e fornire informazioni interne alle organizzazione criminali alla Procura, è già nota [Leggi qui la nostra inchiesta], ma ancora nell’ombra sono i rischi a cui sono esposti i loro familiari: mogli e figli in primis.

Se, infatti, nei confronti dei collaboratori di giustizia, ex mafiosi che hanno deciso per vari motivi di cambiare vita, esiste il pregiudizio che quelli siano comunque stati dei criminali e pertanto non meritino alcun diritto da parte dello Stato, anche se il contratto che sottoscrivono nel momento in cui decidono di collaborare gliene riconosce alcuni [Leggi qui cosa prevede il programma di protezione], quest’alibi con le loro mogli e soprattutto con i loro figli non vale.

Un pentito di mafia affida innanzitutto la propria sicurezza e incolumità nelle mani dello Stato e di quegli organi da esso preposti alla gestione dei collaboratori di giustizia e, se uno di loro resta vittima di una vendetta, è una sconfitta prima di tutto dello Stato stesso e quindi di tutti noi che non siamo riusciti a mantenere fede ad un impegno preso. Ma ancora più gravi e infamanti sarebbero le vendette trasversali, che colpiscono i congiunti del collaboratori, le moglie e i figli che di sicuro non hanno colpe da espiare. A pagare il prezzo della nostra inefficienza sarebbero degli innocenti.

Innocenti che hanno anche diritto di poter condurre una vita quanto più normale è possibile e non pagare sulla loro pelle le colpe delle scelte dei loro mariti o padri. Mogli che hanno diritto ad essere donne e soprattutto madri “normali” e non sempre e comunque la compagna dell’ex mafioso, come denuncia Paola Emmolo, moglie del pentito volontario di ‘ndrangheta Luigi Bonaventura [Leggi qui la nostra intervista].

Già nell’aprile del 2009 una testimone di giustizia, Lea Garofalo, che aveva testimoniato sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco, decise di abbandonare volontariamente il programma di protezione. Ammessa nel 2002 insieme alla figlia Denise, si vede estromessa dal programma nel 2006 perché “l’apporto dato non era stato significativo”. Lea fece ricorso al TAR, che le diede torto, e poi al Consiglio di Stato, che invece le diede ragione. Nel dicembre del 2007 venne quindi riammessa al programma, ma poi decise di rinunciarvi volontariamente e tutti sappiamo come andò a finire…evitiamo che accada di nuovo!

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