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Si è chiuso il sipario sulla prima edizione di Colpo di scena, su Rai 3 con Pino Strabioli. Non è dato sapere se al momento sia anche l’ultima. La rete potrebbe non confermare il programma, ma il conduttore fa sapere su Facebook: ‘Speriamo di ritrovarci presto’. La Rai ha proprio bisogno di intervistatori così: una boccata d’aria fresca per quel piccolo schermo invaso altrove da giornalisti star. Strabioli, invece, lascia spazio a vere stelle della Cultura: gli ospiti si riscoprono grazie al racconto che viene proposto.
Il Teatro di ieri e di oggi senza nostalgia. Lo racconta Colpo di scena, che domenica scorsa ha avuto Carlo Giuffré come ospite finale. Nel corso delle otto monografie proposte su Rai 3, non sono mancati omaggi più che celebrazioni: dal Premio Nobel Dario Fo, alla rabbia di Piera Degli Esposti. Ma non solo.
Prima dell’eleganza di Valentina Cortese c’è stato spazio per la magia del trasformista Paolo Poli; dall’infanzia di Giorgio Albertazzi si è passati alla memoria dell’indimenticata Franca Valeri. Volti del teatro, come Gigi Proietti, che hanno dato un importante contributo al linguaggio della tv, indirizzandone le sorti e, talvolta, ahinoi, senza troppi risultati.
Il teatro è un espediente per raccontare l’ospite. Che così si racconta e si riscopre: l’intimità raggiunta nelle interviste non è mai invasiva. Anzi, sembra dire un silenzioso “basta” alle morbose chiacchiere da day-time, che altrove cercano i titoli scandalistici, e a tutti i costi. A Colpo di scena l’intervista non cerca niente, al massimo trova.
Un modo intelligente per festeggiare i 60 anni della Rai. Ci è voluta la promozione di Pino Strabioli (dalla mattina di Rai 3 all’access prime time domenicale) per dimenticare gli sputi e le liti dell’anti-coppia tv Baudo-Vespa.
Con quegli occhiali sul naso, Pino Strabioli non vi guarda nemmeno in telecamera: non ha interesse a farlo, e questo restituisce un senso di attenzione agli altri, che la tv ha perso da tempo, con le domeniche pomeriggio e con le prime lunghe serate.
Il vero problema è che prodotto televisivi come questo – che ben confezionano presente (le interviste) e passato (le Teche Rai) – sembrano trovare sempre meno spazio nei frenetici palinsesti del Servizio pubblico, dovendosi accontentare di circa mezzo milione di telespettatori al seguito.
Si parla tanto di risorse interne e di rivoluzioni, ma perché la nuova identità della Rai non si chiama cultura declinata in chiave moderna? Sarebbe un vero…Colpo di scena. Questo, sì, lo sarebbe davvero.