C’è un business clandestino che in Italia conta un giro d’affari imponente e coinvolge anche le organizzazioni criminali, senza che i media se ne occupino davvero in maniera diffusa: parliamo dei combattimenti tra cani, in cui gli animali subiscono maltrattamenti e sevizie per trasformarsi in feroci macchine da guerra. In Italia esiste una normativa dal 2004 che vieta esplicitamente tali combattimenti, ma poco importa senza un’efficace rete di prevenzione, e le forze dell’ordine non possono fare altro che intervenire soltanto quando il turpe divertimento viene scoperto: l’ultimo caso tra Genova e Pavia risale ad aprile 2016, culminato con il sequestro di due allevamenti clandestini con molossi, quasi tutti pitbull provenienti dall’Europa dell’est, che facevano parte di un’organizzazione di incontri all’ultimo sangue che si svolgevano in arene improvvisate, all’interno di ville e casolari sparsi tra Liguria, basso Piemonte e la provincia di Pavia.
La lista degli indagati in questo specifico caso vede coinvolti, oltre che a un pregiudicato giudicato vicino all’estrema destra, persone comuni, casalinghe e addetti alla security di locali notturni, che hanno visto in questo business una maniera per arrotondare le entrate. Non di rado però ci sono stati episodi in passato che hanno visto protagonisti esponenti della criminalità organizzata, a dimostrazione che i combattimenti tra cani rappresentano, oltre che un barbaro divertimento, anche un conveniente giro d’affari con traffici internazionali, seppur magari non redditizio quanto la droga o gli appalti.
Le violenze sui cani
A differenza di quanto ritengano molte persone, nessun cane nasce per essere feroce, non i rottweiler, non i dobermann, e nemmeno i più ‘famigerati’ di tutti, i pitbull, spesso finiti alla ribalta delle cronache per la loro aggressività. Per diventare delle implacabili armi da combattimento, questi cani richiedono uno specifico addestramento fatto di violenze, privazioni e continue stimolazioni di un’indole sopita, e che potrebbe essere tranquillamente lasciata in pace, se gli animali venissero trattati con dolcezza e amore. Lo dimostrano tante testimonianze anche sul web che vedono questi cani rispondere con incredibile gioia a gesti d’affetto, quando finalmente vengono restituiti alla normalità dopo una vita di sevizie, programmati per uccidere in uno stupido e crudele gioco in cui le vere bestie sono gli uomini che li spingono a fare ciò.
Portati alla fame, picchiati con bastoni e catene, segregati in gabbie anguste per aumentare la loro aggressività, in molti casi anche costretti ad assumere, grazie a veterinari compiacenti, sostanze dopanti per diventare ancora più massicci nella struttura, come se non bastassero palestre e tapis roulant o addestramenti più ‘artigianali’ per fomentare le doti fisiche naturali. Le sevizie servono poi per stimolare il cane ad odiare il proprio avversario, e per chi soccombe nel combattimento non restano molte alternative se non quella di venire brutalmente soppressi dai loro stessi padroni quando le ferite e le lacerazioni sono troppo profonde.
Il giro d’affari
In Italia la Legge n. 189 del 20 luglio 2004 prescrive all’articolo 1 la reclusione da 1 anno a 3 anni e una multa che va da 50mila a 160mila euro per chiunque organizza combattimenti tra animali: tuttavia nessuna normativa sembra essere in grado di fungere da deterrente per questa attività, che secondo alcune fonti storiche risale addirittura sin dall’antichità, ma che ha trovato nel mondo contemporaneo un cinico e spietato corrispettivo economico che va dal traffico di animali al giro di scommesse. Negli anni dossier come quelli dell’Aidaa e della Lav hanno fatto luce su un traffico internazionale che coinvolge migliaia di cani ogni anno, su cui si intrecciano gli interessi delle mafie dell’est Europa, quella russa ed ucraina, ed arriva fino a Cosa Nostra e la camorra, con la Campania che si conferma la regione principalmente a rischio per l’invasione di questo fenomeno, che invero come abbiamo visto è diffuso su tutto il territorio nostrano.
Nel 2013 l’Aidaa aveva calcolato, in base ai dati a disposizione, che le organizzazioni ricaverebbero circa 30 euro per ogni cane, e considerando l’alto numero di animali coinvolti nell’affare, si arriverebbe a guadagnare diversi milioni di euro l’anno. Non a caso si parla di zoomafie, che vede oltre ai combattimenti traffici di cuccioli e animali esotici, macellazione illegale, corse clandestine, ed altre attività criminose: un volume d’affari complessivo da svariati miliardi, in cui in base al rapporto Lav una bella fetta deriva proprio dai combattimenti, 300 milioni di euro l’anno secondo i numeri diffusi, che diventano 500 se inseriamo anche i canili abusivi. Un piatto troppo ricco per non ingolosire i delinquenti, che chiudono volentieri entrambi gli occhi davanti alle violenze e i maltrattamenti che devono infliggere agli animali pur di ottenere i loro scopi.