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Come è andata la semifinale di andata di Coppa Italia tra Juventus e Inter

All’Allianz Arena di Torino, dalle 21, è andata in scena la semifinale di andata di Coppa Italia tra la Juventus di Massimiliano Allegri e l’Inter, detentrice del titolo, di Simone Inzaghi. Una partita in cui le due squadre hanno quasi deciso di non farsi male e di rimandare il discorso qualificazione al ritorno al 26 aprile, a San Siro, almeno fino all’83esimo in cui Juan Cuadrado ha messo a segno la rete che sblocca il match, ma non è finita perché a gioco quasi scaduto Romelu Lukaku ha pareggiato su rigore.

Le immagine del finale di partita tra Juventus e Inter della semifinale di Coppa Italia – Nanopress.it

E gli eventi del match non hanno decretato il fischio finale, dato che mentre il belga sta festeggiando è arrivato il colombiano, e  nel parapiglia sono stati ammoniti entrambi. Per Lukaku si trattava della seconda ammonizione e salterà il ritorno, ma come lui avrebbe dovuto farlo anche Cuadrado che era diffidato, ma che dopo il triplice fischio viene anche espulso per una rissa scoppiata con il portiere e capitano dell’Inter Samir Handanovic. Insomma, un parapiglia che è destinato ad agitare le acque, anche più della partita in sé e per sé.

Nella semifinale di Coppa Italia di andata tra Juventus e Inter, a Cuadrado nel finale risponde Lukaku su rigore. Poi scoppia la rissa

Con la voglia di recuperare una stagione che non è andata, al momento, come era stata programmata fin dall’inizio, e anche a causa della giustizia sportiva, da una parte e con la voglia di rialzare la testa dopo l’ennesima sconfitta arrivata in campionato, si sono affrontate oggi allo Stadium di Torino la Juventus e l’Inter.

Nella gara valevole per la semifinale di andata della Coppa Italia, una sorta di finale anticipata – l’anno scorso si erano incontrate solo all’ultimo atto, e a uscirne vincitori erano stati i nerazzurri di Simone Inzaghi -, i padroni di casa si sono presentati all’appuntamento con i titolarissimi, al netto delle assenze e di Mattia Perin, chiamato da Massimiliano Allegri tra i pali al posto di Wojciech Szczesny.

Simone Inzaghi, l’allenatore dell’Inter, e Massimiliano Allegri, tecnico della Juventus – Nanopress.it

L’unica cosa che ha cambiato il tecnico livornese è stato l’assetto in campo, optando per un 3-5-1-1 con Dusan Vlahovic davanti ad Angel Di Maria che in qualche modo riprende anche il modulo da sempre adottato dall’allenatore ex Lazio (il 3-5-2) che ha deciso, dal canto suo, di tenere in panchina sia Romelu Lukaku, sostituito da Edin Dzeko, sia Denzel Dumfries, al posto del quale il piacentino ha messo di nuovo Matteo Darmian, che è stato sostituito, ancora, come terzo a destra da Danilo D’Ambrosio, sia André Onana, a cui ha preso il posto il capitano Samir Handanovic.

La partita è iniziata con la Juventus più cattiva, e quasi vicina al gol con un tentativo del Fideo dal limite dell’area che il portiere sloveno è riuscito a neutralizzare con la punta dei guantoni. Nello sviluppo del corner, l’Inter se l’è cavata egregiamente ed è incominciata la fase di studio da parte delle due squadre. A prendere più coraggio, poi, sono stati i nerazzurri che, però, non hanno trovato gli spazi giusti per tentare di impensierire veramente la retroguardia dei padroni di casa, ben chiusa con tre linee stretta davanti al portiere polacco. Lautaro Martinez, in realtà, va anche vicino alla rete che potrebbe sbloccare la gara, ma è poco fortunato. E così scivola il primo tempo.

Nella seconda frazione, sono sempre i bianconeri a partire un po’ più arrembanti, specialmente con il numero 9 serbo. Adesso è la difesa della squadra di Inzaghi che regge ed esce bene, e cresce soprattutto. Al 64esimo ci prova Henrikh Mkhitaryan dopo una bella azione manovrata, ma la palla sfiora il palo di Perin. Annusando il pericolo, Allegri fa i primi cambi un minuto dopo: al posto di un impalpabile, se non per il tiro dei primi minuti, Di Maria – che non l’ha presa neanche troppo bene – entra Federico Chiesa, mentre Fabio Miretti prende il posto di Nicolò Fagioli, in difficoltà sul suo omonimo, Barella, in più di un’occasione.

Arriva il momento delle sostituzioni anche per i nerazzurri, con il tecnico che sceglie di inserire, ora, il belga per l’ex Roma e Robin Gosens per Federico Dimarco, sempre molto propositivo ma comunque reduce da un infortunio. La partita sembra animarsi, l’Inter continua a costruire ma adesso è Marcelo Brozovic a spedirla alta dalla distanza. Anche sui piedi di Vlahovic arriva la palla che potrebbe cambiare il match, ma ci pensa Francesco Acerbi a levare le castagne dal fuoco al suo allenatore e ai suoi compagni.

È l’ultima azione del match per il serbo che viene sostituito al 74esimo da Arkadiusz Milik, che qualche minuto più tardi non ci mette lo zampino o è troppo lontano per battere Handanovic, sul cui pressing sempre del polacco potrebbe cadere qualche minuto dopo. All’80esimo, dopo un’incursione solitaria di Lukaku nell’area della Juventus, il numero 90 subisce fallo ma si rialza subito e poi reagisce, rimediando anche un giallo. In realtà, le sostituzioni effettuate da Allegri non sono proprio indolore. Sia l’uscita dal campo di Vlahovic, sia quella di Di Maria sono causa di evidente frustrazione e nervosismo per entrambi gli attaccanti che volevano continuare a giocare e sicuramente avrebbero preferito avere qualche pallone giocabile in più.

Juan Cuadrado che esulta dopo il gol dell’1-0 – Nanopress.it

Un’altra girandola di cambi per i milanesi. Dumfries prende il posto di D’Ambrosio, ma non in campo, in cui invece prende il posto sull’esterno e Darmian viene arretrato e Kristjan Asslani che entra per il croato. Giusto il tempo, però, di entrare in campo è all’83esimo Juan Cuadrado sblocca la partita su deviazione di Alessandro Bastoni, incolpevole come lo sloveno sul gol, a differenza dei compagni che non hanno impedito a Adrien Rabiot di trovare solo il colombiano in area. L’azione si sviluppa dalla sinistra, infatti, e Barella non va in pressione stretta sul francese che fa girare un pallone in area dalla parte opposta. In area è bravo a inserirsi Manuel Locatelli, mentre i difensori dell’Inter bucano tutti e sbagliano posizionamenti, attirati dalle marcature. Così Cuadrado si trova da solo in area e fa passare il pallone a lato di Handanovic, senza trovare interventi salvifici.

La mossa della disperazione di Inzaghi è quella di inserire Joaquin Correa per il campione del mondo, mossa che, però, non cambia le cose. È piuttosto l’ex Chelsea a farsi vedere più pericoloso, non troppo però per colpire la squadra di Allegri, che regge fino all’ultimo ai tentativi dei nerazzurri di tornare a Milano con un pareggio, il primo della stagione contro i bianconeri dopo due sconfitte. Regge sì, ma non fino all’ultimissimo, perché 20 secondi prima che l’arbitro della gara fischi per tre volte, Gleison Bremer tocca la palla con la mano in area ed è rigore, che Lukaku non sbaglia. E sì, è pareggio!

Romelu Lukaku che festeggia il pareggio arrivato su rigore – Nanopress.it

La gara si incendia. L’autore del gol dell’1-1 esulta come aveva fatto già con la maglia del Belgio, mettendosi un dito davanti la bocca, come a voler zittire qualcuno, forse le critiche, sicuramente i cori razzisti che l’avevano tormentato nei minuti prima. Paradossalmente, viene nuovamente ammonito, è il secondo giallo per il belga che salterà la prossima partita. Non sarà l’unico, però, perché anche chi aveva sbloccato la partita, diffidato, riceve il giallo che non lo farà essere in campo contro l’Inter perché polemizza di rimando, ma nei confronti degli interisti, con cui non c’è mai stato un rapporto idilliaco. Si incrina, poi, definitivamente nel momento in cui il direttore di gara fischia per tre volte.

Cuadrado e Handanovic cercano di chiarire il malinteso, ma gli animi si accendono anche di più tra i due, tanto che il portiere nerazzurro cerca di andare anche oltre le buone maniere. Iniziano gli spintoni tra i due, pare che il colombiano abbia anche tirato un pugno allo sloveno, vengono subito raggiunti dai compagni di squadra e dirigenti che tentano di dividerli (alla prova della tv ci potrebbe essere anche un calcio di D’Ambrosio). Al momento finiscono espulsi entrambi, ma non è detto che sia finita.

Qualche immagine del parapiglia avvenuto dopo la fine della partita tra Samir Handanovic e Juan Cuadrado – Nanopress.it

Non lo è perché il 26 aprile, a san Siro, si giocherà un ritorno che sarà ancora più infuocato,  dalle polemiche, quelle di questa gara e quella del ritorno di campionato in cui il gol della Juventus sembrava viziato da due falli di mano, dal derby d’Italia che significa una finale, e dopo tutte le fatiche della Champions League per i nerazzurri, e dell’Europa League per i bianconeri.

Il derby d’Italia dei veleni ci ha mostrato tattica obsoleta e poca tecnica. Poi l’orrore finale (per cui non dovrebbero esistere bandiere)

Quando un derby si infuoca, si sa, può succedere di tutto, anche al limite dell’umano, quando si sfocia nel parossistico, nell’istintivo che fa rima con animalesco e primordiale, appunto. Succede di tutto e si perde anche il controllo di se stessi, ma non può mai essere una giustificazione. Non lo è per la terna arbitrale, per i tifosi, che prima o poi dovranno imparare ad assumersi le responsabilità delle loro azioni, e per ultimo per i protagonisti. Esposti, pubblici, esempi e, per i più piccoli, anche eroi.

Quello che è successo a Lukaku non dovrebbe conoscere bandiere, colori, strisce o tonalità dal blu notturno. Va oltre il calcio, anche oltre la politica: è rispetto puro e limpido che un uomo, prima ancora che un protagonista e un campione, merita. C’è chi ha detto che il fallo del belga (ruvido, sì, ma non pericoloso) ha indispettito gli animi, chi pensa già alla gara di ritorno e a come potrebbe finire, come se il pallone e la vittoria possano essere un riscatto. No, non lo saranno anche in caso di risultati tennistici a San Siro. Perché zittire chi ti ulula contro per il colore della pelle o urlare “Muti” per fermare l’obbrobrio che si consumava sugli spalti sono solo delle reazioni di chi non ce la fa più, di chi si è inginocchiato, ha alzato il pugno al cielo, si è esposto in prima linea e a testa alta, ci ha messo dentro la sua immagine pubblica e ha ottenuto, di contro, altri ululati.

Si deve smettere in Italia di difendere chi è dalla stessa parte del proprio tifo, comunque vada e qualsiasi cosa faccia. Di parteggiare per una squadra o per l’altra, minimizzando e guardando solo i punti di vista che fanno comodo. L’Allianz Stadium ha dato il peggio di sé e devono essere presi provvedimenti, questo è sicuro, perché lasciare impunito chi ci rende spot negativo per un intero movimento e Paese nel mondo, ma soprattutto chi si abbassa a tentare di infangare la dignità di un altro essere umano, non è più accettabile. E, per fortuna, sono la minoranza. Quando i Green Day cantano “I wanna be the minority”, come inno all’anticonformismo, non pensano certamente a questo tipo di minoranze, le mele marce nel cesto che rovinano un intero evento e lo squalificano. Anzi, l’anticonformismo c’entra e come, visto che in fin dei conti basta ragionare con la propria testa, isolarsi e staccarsi da certi “tifosi”. Che si sia allo stadio, sui social o al pub. Poi fare semplicemente quello che va fatto e pensando che sia scontato.

Danilo e Lautaro Martinez in campo durante Juventus-Inter, semifinale di Coppa Italia – Nanopress.it

Le dichiarazioni di Danilo, purtroppo, non vanno in questo senso e ancora di più il comportamento di Cuadrado. Probabilmente non si sono resi conto (vogliamo sperarlo), molto più probabilmente erano ancora caldissimi in una partita caldissima per definizione. La juventinità, però, anche in questo caso, dovrebbe fare un passo indietro, anche se ti zittiscono la curva, anche se gli altri sono quegli altri. E pure i due allenatori si sono tenuti alle parole di facciata e neanche quello è piaciuto molto a essere sinceri. Perché una posizione, almeno in questo caso, bisognava prenderla e doveva essere quella giusta. Ovviamente, nei minuti dopo la partita si parla soprattutto di questo, si parla di razzismo, perché non lo si può definire in altro modo. E di un caso che scoppierà ancora di più domani mattina e nei giorni successivi. Ci aspettiamo delle prese di posizione importanti, ma sarebbero comunque tardive, questo è chiaro.

Ora passiamo ad altre questioni, al campo puro e neanche lì la partita ha riservato delle ottime notizie, non per chi ama il calcio come sinonimo di modernità e spettacolo. La Juventus ha fatto la sua solita partita, almeno quella a cui ci siamo abituati. Il pressing è stato raro sui portatori, mentre il tema tattico scelto è quello che ti porta con tutti gli effetti dietro la linea del pallone e tentando di ripartire al primo errore degli avversari. Una modalità che effettivamente non piace quasi a nessuno, neanche agli stessi tifosi bianconeri, ma che sta portando a risultati importanti in questo stralcio di stagione, soprattutto nel doppio confronto diretto in Serie A trale due contendenti, in cui l’Inter non è riuscita a segnare neanche un gol.

Stavolta, però, anche dopo la sveglia presa dalla Fiorentina (l’ennesima dell’ultimo periodo), la Beneamata è stata molto più attenta nelle marcature preventive, a non perdere palloni sanguinosi sulla propria trequarti e a non cadere nei tranelli della Vecchia Signora, che aspettava la varco i cross dei nerazzurri per poi partire in contropiede. Il tutto si è tradotto in uno stallo sostanziale in tutto il primo tempo e che è scaturito in un finale un po’ più energico, dal 75esimo circa in poi. Essenzialmente, la partita si potrebbe raccontare scrivendo semplicemente che l’Inter ha cercato di far girare ossessivamente la sfera in orizzontale, senza troppo ritmo, per poi aspettare l’imbucata giusta che raramente è arrivata.

La frustrazione, però, non è valsa solo per i nerazzurri, che effettivamente pur avendo per lunghi tratti il controllo del pallone non sono riusciti a creare tanto, ma anche per la fase offensiva bianconera. Calciatori di grande qualità come Fagioli, Vlahovic e soprattutto Di Maria sono stati relegati a mantenere una posizione lontanissima dalla porta, nella speranza di avere qualche pallone giocabile. Non è un caso se i due attaccanti della Juventus sono usciti dal campo con un’evidente rabbia, che non può essere riferita solo alla sostituzione o alla voglia di incidere ancora.

Con equilibri così tesi e così abbottonati si tende inevitabilmente a notare più gli errori decisivi che i colpi dei campioni. Infatti, la partita l’hanno sbloccata essenzialmente Gosens e Bremer. In occasione della rete bianconera, l’esterno tedesco è scalato male, perdendo l’uomo alle sue spalle. Una scelta sbagliata che ormai, a questi livelli, non si vede spesso. E poi male anche il centrocampo che doveva portare maggiore pressione su Rabiot in modo da non farlo crossare. Dall’altra parte, proprio sul pallone finale della partita, ha fatto ancora peggio Bremer, autore di un’ottima partita di contenimento fino a quel momento. Il brasiliano ha lisciato di testa e l’ha colpita con la mano senza neanche troppa pressione: sul rigore c’è poco da discutere e purtroppo c’è chi deve fare mea culpa, senza prendersela sempre con altri.

Le parole di Allegri riassumono come, in realtà, la partita d’andata non voglia dire poi tanto nel computo dei 180 minuti: “Sarà decisivo il match di ritorno”. E anche in caso di 1-0 per la Juventus questo dato di fatto non sarebbe cambiato ugualmente. Sicuramente a San Siro ci aspettiamo che una delle due squadre faccia di più per vincerla già nei tempi regolamentari e per non andare per forza oltre. Ma soprattutto per mostrare di averle davvero le qualità per essere grandi, che sono anche più importanti dei risultati in sé e per sé, soprattutto nei percorsi di crescita di una società e di una squadra.

Intanto, potrebbero succedere tante cose, dentro e fuori dal campo. Si dovrà decidere se è il caso di levare la squalifica, e quindi il cartellino giallo, a Lukaku. Il 19 aprile è attesa la sentenza del CONI sulla penalizzazione comminata alla Juventus per l’inchiesta Prisma, e anche quello sarà un punto importante per capire in che direzione andrà il futuro di uno dei club più prestigiosi e titolati d’Italia. Entrambe le squadre poi dovranno vedersela con le rispettive fatiche europee e con gli impegni di Serie A, giocando praticamente ogni tre giorni. Insomma, sono in calendario una serie di appuntamenti che farebbero impallidire anche le migliori corazzate e che richiederanno idee, rotazioni e intuito ai due allenatori.

La speranza è che, comunque vadano le cose, gli animi possano rasserenarsi e si possa tornare a raccontare solo la rivalità sportiva, non la violenza verbale o fisica. La Coppa Italia deve essere questo per definizione, il tripudio della gioia e del pathos, delle belle emozioni agonistiche. La speranza è che questa semifinale resti solo un ricordo negativo da archiviare, soprattutto per quel contorno orrendo che ha rotto gli specchi e fatto volare gli stracci. Nelle ultime cinque sfide tra Juventus e Inter ci sono stati diversi cartellini rossi, due risse finali e tanto nervosismo, spettacolo poco. La miglior partita del calcio italiano non può essere relegata a una rissa da bar dello sport, all’incrocio di due fazioni contendenti e all’ira che incombe quando le cose non vanno a dovere.

L’immagine da cui ripartire è quell’abbraccio tra Nicolò Barella e Federico Chiesa che si estraniano da tutto e quasi si consolano. Sono due amici, avversari per una sera, e compagni di Nazionale, di quelli che ci hanno trascinato a vincere gli Europei con l’Italia. Non sanno come comportarsi, ne restano fuori, fanno prevalere altro, prima di tutto il rispetto, il senso di fratellanza, i rapporti che vanno oltre i 90 minuti più recupero. È da loro che bisogna prendere il meglio, a livello tecnico, di mentalità, di cattiveria agonistica e poi di valori. Sono loro a doverci trascinare fuori da un baratro che Figc e politica dovranno colmare con il cemento per far sì che non si continui a scavare. E comunque alla fine non ha vinto nessuno e a Milano, in un ritorno rovente per tantissimi motivi, sarà battaglia vera. Ma speriamo resti comunque nei confini dell’agonismo e delle giocate tecniche, di quelle che fanno bene al calcio, senza episodi per cui dovremmo tutti vergognarci.

Mariacristina Ponti

Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.

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